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 2005  ottobre 31 Lunedì calendario

Stimolato dai racconti che la madre gli narrava da bambino, Massimiliano Sabatini di Ostia Lido (RM) ha provato a immedesimarsi in lei e a raccontarci la sua gioventù in tempo di guerra, rimanendo totalmente fedele alle narrazioni originali

Stimolato dai racconti che la madre gli narrava da bambino, Massimiliano Sabatini di Ostia Lido (RM) ha provato a immedesimarsi in lei e a raccontarci la sua gioventù in tempo di guerra, rimanendo totalmente fedele alle narrazioni originali. «La scuola era praticamente attaccata a casa nostra. Il più delle volte ci andavamo passando per i tetti.Un po’ per divertimento, un po’ per comodità, un po’ per necessità. Ma il più delle volte a scuola non ci andavamo proprio. E non per le motivazioni dei ragazzi di oggi, legate alla poca volontà o alle mille distrazioni che, come Ulisse, incontrano nel loro percorso. Ma perché purtroppo era estremamente pericoloso. Le bombe fischiavano a poche decine di metri facendo sussultare tutto quello che era vicino, noi compresi. Mia sorella, una ragazza fragile, timida, particolarmente impressionabile, a causa di uno spavento provocato dallo scoppio di una bomba che le cadde praticamente ai piedi, si ammalò riempiendosi di bolle su tutto il corpo. Quella era però solo la reazione esterna a qualcosa che le si era rotto dentro, nell’anima. Di li a poco ci lasciò e, mi va di pensare, per un posto più tranquillo dove potesse esprimere tutta la forza della sua sensibilità. Anche le pallottole erano compagne dei nostri pomeriggi giocosi. Già, perché, nonostante tutto, pensavamo anche a giocare. Erano gli anni in cui si era felici con poco. Una corda per saltare e quattro barattoli da colpire con i sassi erano il nostro Luna Park. Sempre a piedi scalzi, perché era bello e mai scontato sentire ogni giorno il contatto con la terra. buffa la vita. Il ricordo della spensieratezza di quella bambina che viveva in mezzo alle bombe, si contrappone a quello della ragazza che a guerra finita viveva nell’ansia del giudizio della gente di paese per la ”colpa” di essere allegra, espansiva, mai musona e con l’ingenua voglia di stare con gli altri. Che male c’era a fare due chiacchiere in piazza con tre o quattro amici, ragazzi del posto o di poderi vicini, incontrati per caso tornando dal fornaio? Ma i rimbrotti e gli schiaffi di mia madre erano molto chiari. ”The Show Must Go On”, si direbbe oggi, e forse lo si diceva anche allora, solo che noi non lo sapevamo. così: la vita va avanti, che ti piaccia o no, e devi accettare di convivere col dolore dei ricordi. Non solo i tuoi, ma anche quelli di tuo padre che, tornato dal fronte senza un occhio e con un principio di congelamento alle gambe, ti racconta delle atrocità viste e sentite, che sono niente in confronto all’amarezza di non poter rivedere più i suoi fratelli dispersi. Intanto il paese cresceva e si arricchiva sempre di gente nuova. Gli stimoli per la ripresa non mancavano. Tutti i sabati si andava a ballare. Era mio fratello ad accompagnarmi. Dovevamo attraversare tutta la campagna per arrivare alla sala da ballo organizzata in un granaio. Era primavera e oltre al cigolio della bicicletta, che solo noi nella zona avevamo (in quanto all’epoca piccoli proprietari terrieri), ci accompagnava il rumore dei grilli. Sapevo di non poter essere totalmente libera nei movimenti perché controllata da mio fratello, ma la mia felicità era paragonabile alla sua che, al contrario mio, avrebbe potuto fare ciò che voleva. Lui era un maschio, e inoltre un bel ragazzo. Contava allora e, sembra, conta anche adesso».