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 2005  ottobre 31 Lunedì calendario

Sandro Mazzola, una delle stelle dell’Inter di Helenio Herrera, ha attraversato 3 generazioni di calcio essendo il figlio del grande Valentino, giocatore del mitico Torino schiantatosi sulla collina di Superga il 4 maggio 1949

Sandro Mazzola, una delle stelle dell’Inter di Helenio Herrera, ha attraversato 3 generazioni di calcio essendo il figlio del grande Valentino, giocatore del mitico Torino schiantatosi sulla collina di Superga il 4 maggio 1949. Ha visto il mondo del calcio cambiare radicalmente come si percepisce dai suoi ricordi: «Di mio padre ricordo poco a livello calcistico», ci racconta, «ma mi ricordo molto bene quando andavo al campo, da bimbo. Sentivo l’odore dell’erba e poi non c’erano tanti tifosi come adesso. Non ricordo né striscioni né mai risse. Già ai tempi miei, invece, è cominciata un’era diversa soprattutto allo stadio e nelle curve». Per Mazzola il cambiamento radicale del calcio è avventuto con l’ingresso delle Tv nel mondo del pallone. «La fondamentale differenza l’hanno fatta le televisioni. Prima c’era solo calcio, oggi c’è più folklore, c’è più attenzione mediatica, una partita dura una settimana. E proprio le televisioni con i soldi freschi portati nel pallone hanno dato alle società la grande illusione che esistesse una gallina dalle uova d’oro. Invece abbiamo visto che il pozzo non era infinito. Ed ecco spiegato il crac dei bilanci». Con la sua Inter è stato un simbolo del calcio degli anni Sessanta. Era quella che veniva chiamata bandiera, una figura oggi quasi scomparsa, vittima di un calcio sostanzialmente diverso da quello di una volta. Eppure, lo stesso Mazzola non rimpiange questa figura un tempo mitica: «Sa che dico in fondo? Molto meglio che le bandiere non esistano più. Tutti rimpiangono i giocatori simbolo e poi come va a finire? Che quando diventi una bandiera e finisci di giocare ti mettono nell’armadio e ti cacciano solo per il giorno del tuo funerale. E se io non voglio entrarci nell’armadio? Purtroppo la figura di bandiera di una volta ha insegnato a tutti che non ne vale la pena, spesso. Oggi meglio che i giocatori cambino e facciano come meglio credano. Lasciamole stare le bandiere».