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 2005  ottobre 31 Lunedì calendario

«Cambia tutto il mondo, perché non dovrebbe cambiare il calcio? Il problema è capire se questo cambiamento naturale sia una evoluzione o una involuzione

«Cambia tutto il mondo, perché non dovrebbe cambiare il calcio? Il problema è capire se questo cambiamento naturale sia una evoluzione o una involuzione...». Dietro la domanda retorica di Gianni Rivera si nasconde tutto il pensiero, non certo entusiasta, dell’ex golden boy del Milan. Che oggi vede questo calcio da lontano anche con un certo distacco morale. «Succede sempre», ci dice, «che chi sta vivendo un’epoca finisce per rimpiangere quella precedente. Ma nel calcio si è materializzata una cultura oggettiva che è quella del materialismo, del potere economico. Comanda il denaro su tutto. E non è augurabile un simile processo in nessun settore se poi si vuole avere un corretto sviluppo etico e intellettuale. Rimpiangere il calcio dei miei tempi significa semplicemente evocare valori morali che oggi sono dispersi. Il cambio generazionale avviene per tutti ma dobbiamo augurarci che il calcio possa aprire una parentesi migliorativa. C’è bisogno di uomini e idee nuove per fermare questa deriva evidente. Però, non si sa mai, non sempre nella vita i cambiamenti portano necessariamente a qualcosa di evolutivo». Il senso delle parole amare di Rivera si materializza in un aneddoto che ci racconta e che rivela il cambiamento sostanziale del modo di vivere il campionato di calcio. «Io nel 1961/62 ho giocato senza contratto. Ero al Milan, il presidente mi voleva dare la metà dell’ingaggio della stagione precedente. Era Rizzoli, non esattamente uno largo di manica. E io decisi di non accettare ma giocai lo stesso tutto l’anno praticamente gratis senza contratto. Alla fine vincemmo il campionato. E lui mi diede qualche milioncino in più, ma neppure la cifra che avevo chiesto io... Pensate se potesse mai accadere una cosa così adesso, laddove i calciatori si dividono sul miliardo in più e uno in meno...».