MACCHINA DEL TEMPO SETTEMBRE 2005, 31 ottobre 2005
Più complicate del previsto le differenze genetiche tra scimpanzé e umani. Uomini e scimpanzé (i nostri cugini antropomorfi evolutivamente più vicini) si sono differenziati da un antenato comune circa cinque o sei milioni di anni fa
Più complicate del previsto le differenze genetiche tra scimpanzé e umani. Uomini e scimpanzé (i nostri cugini antropomorfi evolutivamente più vicini) si sono differenziati da un antenato comune circa cinque o sei milioni di anni fa. Assieme allo scimpanzé (famiglia dei Pongidi), facciamo parte della stessa superfamiglia degli Hominoidea. stupefacente il fatto che le due specie, dal punto di vista genomico, siano simili: si pensi che condividiamo ben oltre il 98% del Dna, cioè del nostro patrimonio genetico. Tuttavia, nonostante questa ”vicinanza” evolutiva, siamo anche molto diversi, specie per le specifiche caratteristiche umane, quali lo sviluppo delle funzioni cerebrali cognitive superiori, l’andatura bipede e l’utilizzo di un linguaggio articolato, che ci hanno permesso di evolvere anche in senso culturale, oltre che biologico. Le conoscenze scientifiche zoologiche, paleontologiche, archeologiche e genetiche ci offrono oggi un dato difficilmente confutabile: l’uomo, da un punto di vista biologico, è un primate encefalizzato con un comportamento complesso che definiamo di tipo culturale. Ma allora, come si possono spiegare tutte queste differenze, fisiche e morfologiche, fisiologiche e comportamentali tra le due specie, a fronte di una così piccola differenza genetica? Può tale discrepanza giustificare tutto questo? Molto probabilmente no. Le differenze genomiche tra scimpanzé e uomo sono più profonde di quanto si riteneva fino a oggi. E non sembra (più) vero che le più importanti siano prevalentemente a livello del cosiddetto Dna non codificante (che comprende, lo ricordiamo, oltre il 95% del nostro genoma). Le differenze più significative riguardano proprio il Dna genico, e cioè quello codificante. Lo dimostra un articolo pubblicato l’anno scorso da Asao Fujiyama del Riken Genomic Sciences Center giapponese e del National Institute of Informatics di Tokyo, sulla prestigiosa rivista scientifica britannica Nature (’Dna sequence and comparative analysis of chimpanzee chromosome 22”, vol. 429, 27 maggio 2004), che descrive il sequenziamento ad altissima risoluzione e accuratezza del cromosoma 22 dello scimpanzé e dell’equivalente umano, il cromosoma 21. Sebbene, come già detto, il genoma degli scimpanzé sia identico al 98,5 per cento con quello umano, a livello di semplice sequenza di Dna questo studio ha evidenziato importanti differenze tra i due cromosomi: oltre l’80 per cento delle sequenze codificanti proteine sono diverse tra i due cromosomi. Dal confronto è inoltre emerso che ci sono ben 68 mila brevi sequenze presenti in una sola delle due specie e assenti nell’altra. Sono porzioni genomiche più o meno estese, variabili da poche decine a qualche centinaio di nucleotidi, definite anche in termine tecnico trasposoni, che magari sono andate perdute (delezioni) o si sono aggiunte (inserzioni) nel passaggio evolutivo scimpanzé-uomo. Un numero così grande d’inserzioni e delezioni (tecnicamente chiamate indels dai genetisti) era del tutto inaspettato. Oltre che alle differenze strutturali, esistono anche disuguaglianze funzionali importanti tra i due genomi, in particolare per quanto riguarda la regolazione, il livello e il timing preciso dell’espressione genica. Per esempio, il gene FOXP2, importante per lo sviluppo del linguaggio, e i geni NCAM2 e GRIK1, coinvolti nelle funzioni neurali, appaiono strutturalmente diversi e regolati in maniera dissimile nell’uomo e nell’animale. Questa scoperta dimostra che anche apparenti sottili modificazioni genetiche possono avere conseguenze molto importanti. Il cromosoma 22 equivale a circa l’uno per cento di tutto il genoma dello scimpanzé. Se venisse confermato questo dato anche per gli altri cromosomi, ciò equivarrebbe a dire che ci sono probabilmente migliaia di geni con struttura molecolare, modelli di attività e di regolazione significativamente differenti nelle due specie. Il passo successivo in questa affascinante avventura scientifica sarà tentare di identificare tutti i geni - e i rispettivi prodotti proteici - responsabili delle differenze tra le due specie. In altre parole, riusciremo a identificare i determinanti biologici e genetici che ci hanno impedito di ”rimanere” scimmie antropomorfe? La speranza dei ricercatori è alla fine di arrivare a capire, con confronti tra genomi e tra proteine (proteomi), quali cambiamenti possano spiegare tutte le differenze fisiche, fisiologiche e comportamentali. Questi discorsi valgono non solo per i primati, naturalmente, ma abbracciano tutto l’ambito della conoscenza biomedica, non esclusivamente l’aspetto evoluzionistico. Per esempio, la conoscenza e quindi il confronto della struttura e dell’organizzazione genomica di altre specie (più o meno evolutivamente vicine all’uomo) - una nuova disciplina, nata e nota come ”genomica comparativa” - rappresenterà un mezzo formidabile per aiutarci a capire meglio non solo la nostra stessa evoluzione biologica e molecolare, ma anche a identificare le cause genetiche di molte malattie. Confrontando i genomi di diversi organismi, i ricercatori possono infatti meglio capire e interpretare la struttura e le funzioni del genoma umano. Per esempio, è noto un modello animale naturale di trisomia 22 (tre copie del cromosoma anziché due) nello scimpanzé, che presenta un fenotipo e caratteristiche cliniche sovrapponibili a quelle della trisomia 21 umana (cioè della nota e frequente sindrome di Down dell’uomo, una volta chiamata mongolismo). Nonostante i costi elevati di queste ricerche, c’è molto ottimismo ed entusiasmo nella comunità scientifica internazionale, e nessuno dubita dell’importanza dell’approccio della genomica comparativa dei mammiferi nell’aumentare le nostre conoscenze sulla biologia dell’Homo Sapiens Sapiens. Professore associato di Genetica medica Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Verona