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 2005  ottobre 31 Lunedì calendario

Chissà quanto tempo è trascorso dall’ultima volta che un marinaio di vedetta ha urlato «Terra!», guardando una costa che appariva all’orizzonte

Chissà quanto tempo è trascorso dall’ultima volta che un marinaio di vedetta ha urlato «Terra!», guardando una costa che appariva all’orizzonte. E chissà se, in una sala controllo missione o in un osservatorio astronomico, uno scienziato lo urlerà di nuovo tra qualche anno. una delle nuove frontiere dell’astronomia: non ci si accontenta più di cercare pianeti che orbitano attorno ad altre stelle: ne sono stati già catalogati oltre 140. Ma sono per lo più dei veri ”mostri”, giganti spesso molto più grandi del nostro Giove, che a volte orbitano vicinissimi alle loro stelle. Neanche per un attimo si riesce a immaginarli capaci di ospitare la vita. Per quanto mostruosi, rappresentano però un’indicazione importante della possibilità che esistano sistemi solari simili al nostro, quindi con pianeti anche più piccoli, paragonabili alla Terra. L’ipotesi è semplice: non li abbiamo ancora trovati proprio perché, piccoli come sono e situati a distanze enormi, è difficilissimo scovarli. Ma la caccia è aperta. Diversi gruppi di scienziati sono al lavoro per individuare un gemello, o magari solo un cugino, della cara vecchia Terra. I problemi tecnici sono però enormi. Qualsiasi strumento impegnato in una ricerca del genere sarebbe sempre abbagliato dalla luce della stella, un milione di volte più forte di quella riflessa da un suo pianeta. Quindi la ricerca di pianeti extrasolari, soprattutto quelli di tipo terrestre, è fatta di metodi molto complessi. «Considerando le tecnologie attuali» dice Malcolm Fridlund, lo scienziato progettista della missione europea Darwin (vedi box qui sotto) «penso che i primi pianeti del genere saranno scoperti da sonde capaci di osservare i transiti, le cosiddette occultazioni». Quello delle occultazioni è il ”trucco” più facile che gli scienziati stanno per usare. Fino a oggi i pianeti extrasolari sono stati per lo più scoperti da telescopi terrestri: osservando gli spostamenti delle linee spettrali verso il rosso o verso il violetto (che denotano un allontanamento o un avvicinamento), si possono notare le eventuali oscillazioni che la presenza di un pianeta induce nella stella orbitandole attorno, come se la tirasse da un lato o da un’altro. Ma se misuriamo con strumenti accuratissimi la stessa luce, si potrebbe vedere una sua diminuzione temporanea, come se qualcosa l’avesse un po’ oscurata. questo il fenomeno dell’occultazione: il pianeta, nella sua orbita, si frappone tra noi e la stella creando una microeclisse. «Le prime missioni», dice Fridlund, «cercheranno diminuzioni di luminosità dell’ordine di un decimillesimo, o anche meno, su un gran numero di stelle molto distanti da noi. Ci forniranno una specie di censimento, una statistica di quanti pianeti come il nostro ci siano nella galassia». Ma il ”censimento galattico” sarà solo il primo passo. «Bisogna considerare», dice Raffaele Gratton, dell’Istituto nazionale di Astrofisica di Padova, «che le osservazioni sui transiti non ci diranno alcune informazioni fondamentali, come quelle sulla loro atmosfera e sulla presenza di vita». Scenderanno allora in campo tecnologie nuove, in alcuni casi ancora tutte da sperimentare. A terra nascerà una nuova generazione di telescopi giganteschi, fino a cento metri di diametro, come l’Owl (in inglese significa ”gufo”) in progettazione da parte dell’European Southern Observatory. Nello spazio, invece, il prossimo decennio vedrà una serie di sonde dedicate a questo scopo. Sia per i telescopi terrestri che per quelli nello spazio, la sfida sarà mettere a punto le tecnologie di rilevamento. Una di queste è la coronografia, sviluppata già molti anni fa per studiare il Sole. Il telescopio, in pratica, scherma solo la luce del Sole, permettendo di studiare la zona circostante. Una specie di eclissi totale artificiale. Applicarla a stelle lontane diversi anni luce, nelle quali bisogna schermare un puntino piccolissimo per esplorare le sue immediate vicinanze, è una sfida tecnologica non di poco conto. L’altro metodo è l’interferometria: diversi telescopi puntano sulla stessa stella e le loro osservazioni vengono combinate ed elaborate. I risultati sono due: da un lato si ha un’immagine pari a quella di un telescopio molto più grande, dall’altro è possibile identificare con precisione la luce proveniente dalla stella, annullarla (il termine inglese è infatti nulling interferometry) e far rimanere solo quella proveniente da eventuali pianeti. «Sono tecniche ancora da mettere a puntino» continua Gratton, che con il suo gruppo, assieme ad altri ricercatori europei, sta lavorando allo sviluppo di uno strumento, Epics, destinato a lavorare con Owl proprio per questo tipo di ricerche. «Per questo, prima di lanciare sonde spaziali, saranno cruciali le prove sui telescopi a terra». I prossimi venti anni, insomma, potrebbero regalarci la scoperta di nuove terre, pianeti di grandezza simile al nostro, che orbitano a una giusta distanza dalla stella. «E poi», continua lo scienziato italiano, «il compito sarà cercare le ”firme” della vita. La scomposizione spettrale della luce potrà dirci se c’è ozono nell’atmosfera, il che vuol dire anche ossigeno. Oppure potremmo vedere che il pianeta riflette la luce del Sole in un modo particolare: con un ”buco” in un preciso punto della parte rossa dello spettro. Un fenomeno del genere, chiamato red edge, sarebbe il segnale che lì c’è clorofilla, quindi vegetazione». E se Nuova Terra salta veramente fuori, con i chiari segni della vita? «Sapere che la vita è nata anche altrove», commenta Fridlund, «ci direbbe molte cose, e ci fornirebbe anche un’idea su cosa è avvenuto qui sulla Terra molti miliardi di anni fa. Se potessimo studiare molti sistemi nei quali la vita è presente, potremmo persino avere un’idea del nostro futuro. Esistono condizioni particolari per cui un mondo diventa inabitabile? Quali? E la Terra sta andando in quella direzione?».