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 2005  ottobre 28 Venerdì calendario

Per fortuna tutto è finito bene con un atterraggio perfetto, ma quando l’analisi dei filmati direttamente dallo spazio ha rivelato la presenza di strane fessure nello scudo termico del Discovery, al Centro controllo Nasa di Houston è sceso un clima gelido

Per fortuna tutto è finito bene con un atterraggio perfetto, ma quando l’analisi dei filmati direttamente dallo spazio ha rivelato la presenza di strane fessure nello scudo termico del Discovery, al Centro controllo Nasa di Houston è sceso un clima gelido. La perdita del Columbia nel 2003, costata la vita ai sette membri dell’equipaggio, bruciava ancora come una ferita aperta per gli uomini dell’ente spaziale americano. Per rientrare sulla Terra dopo una missione, lo Shuttle deve attraversare l’atmosfera con una lunga frenata, che lo porta dai 30 mila km/h iniziali fino a circa 300 km/h. Per compiere tale decelerazione, la navetta necessita di un sofisticatissimo e pesantissimo rivestimento a base di silicio. Perché? La risposta è semplice: deve proteggersi dal calore. Eppure, gli strati più elevati dell’atmosfera toccano temperature di diverse decine di gradi sotto lo zero e sembra strano che un fluido così freddo possa surriscaldare la pelle esterna della navetta fino a circa 2.000°. Quali sono i meccanismi fisici che stanno dietro questo fenomeno? Solitamente l’aria è usata per raffreddare oggetti molto caldi, come il motore di una moto. Il flusso termico parete-gas è però dominato da un parametro fondamentale: il numero di Mach (M), ossia il rapporto tra la velocità d’avanzamento e la velocità del suono. Le equazioni della fluidodinamica ci dicono che la parete esterna dello Shuttle trasmette o riceve calore indipendentemente dalla temperatura esterna: il fenomeno è guidato soltanto da una quantità detta ”temperatura di recupero”, crescente con il Mach. In pratica, per basse velocità la temperatura di recupero è inferiore alla temperatura dello Shuttle e la parete del velivolo, più calda, riscalda il gas circostante, molto più freddo. Aumentando Mach, il processo s’inverte e la parete viene surriscaldata dall’attrito del gas, accelerato bruscamente a diverse migliaia di chilometri-ora da una potente onda d’urto. Sebbene durante il decollo si raggiungano elevati numeri di Mach, è il rientro la maggior sorgente di preoccupazioni. Durante questa fase, lo Shuttle si pone in posizione molto cabrata (in pratica, con il muso molto alzato), facendosi scudo con la pancia. All’equipaggio non rimane che godersi l’incredibile spettacolo di essere avvolti da una palla di fuoco. La temperatura generata dall’attrito ipersonico non è distribuita ugualmente sulla navicella: il naso e i bordi d’attacco delle ali sono le zone più calde, con temperature intorno ai 1.700°, mentre la pancia deve sopportare ”solamente” 1.100°. La situazione migliora decisamente sulla parte superiore (quella bianca, per intenderci), che incontra temperature di circa 500°. Per fornire un termine di paragone, la struttura di alluminio dello Shuttle perde capacità strutturali se sottoposta a temperature superiori ai 300° e si liquefa a 700°. Per sopportare temperature così elevate la tecnologia offre molte soluzioni. Una molto diffusa - soprattutto negli ugelli dei motori e nelle capsule a perdere - sono i materiali ”ablativi” che, a contatto con gas surriscaldati, vaporizzano senza passare dallo stato liquido (sublimano), asportando in questo modo molto calore. Lo Shuttle, però, si caratterizza per essere l’unica navicella al mondo riutilizzabile, almeno per la maggior parte dei suoi componenti. I materiali ablativi non sono pertanto indicati come protezione termica. Per fortuna, negli anni ’60, la Lockheed, grande azienda aeronautica americana (oggi Lockheed-Grumman), stava sviluppando materiali isolanti basati sul silicio per il suo Black Bird, il famoso aereo spia da Mach 3. Ecco perché 24.300 piastrelle di varie dimensioni, forma e colore ricoprono la navetta. Il colore nero della pancia è dovuto al rivestimento, data la migliore capacità dei corpi neri di emettere radiazioni nell’infrarosso, smaltendo così il calore del rientro. E di calore le piastrelle della pancia ne devono smaltire davvero molto. Basti pensare che pochi secondi dopo essere estratte dalla fornace di cottura a 2.000°, è possibile già tenerle per gli spigoli a mano nuda, mentre il centro rimane rosso fuoco. La parte superiore dello Shuttle e il timone di coda sono protetti soprattutto da un materiale simile a una coperta termica, l’Frsi, acronimo per Flexible reusable surface insulation (superficie flessibile e riutilizzabile per l’isolamento), un tessuto di ceramica silicea molto resistente e di colore bianco per riflettere i raggi solari. Tenere fresco lo Shuttle nello spazio è molto importante: basti pensare che se il lato esposto al sole può raggiungere i 120°, la parte in ombra tocca i -100°. Un’escursione termica che distruggerebbe le strutture in alluminio se non debitamente protette. La struttura della navetta è soggetta a continue deformazioni dovute ai carichi strutturali e ai cicli termici cui è sottoposta. Se le piastrelle di protezione, estremamente rigide e vetrose, fossero a diretto contatto con la pelle esterna si spezzerebbero. Per prevenire la loro rottura, le piastrelle sono montate su un tappeto di feltro grazie a un collante a base di silicone. Il ”sandwich” piastrella-tappeto è poi fissato alla pelle d’alluminio e il sottile interstizio lasciato tra una piastrella e l’altra è riempito con Nexel, un tessuto ceramico ad alta resistenza. Ed è proprio il Nexel a esser fuoriuscito dalla pancia del Discovery. Queste piccole striscioline di tessuto possono sembrare innocue, ma una volta lanciate a 30 mila km/h in un’atmosfera rovente possono pericolosamente modificare il flusso d’aria attorno al Discovery, con conseguenze difficilmente prevedibili. Il naso e il bordo d’attacco delle ali sono le zone soggette alle temperature maggiori e necessitano di un trattamento particolare. La loro protezione è affidata a un materiale composito in carbonio detto Rcc, Reinforced carbon-carbon: un tessuto di grafite, prima saturato da una resina speciale trasformata in carbone con un particolare processo di cottura, poi trattato con alluminio e silicone che conferiscono l’aspetto grigio e la resistenza all’ossidazione. Il tutto viene plasmato nella forma voluta e cotto per ottenere i 22 pannelli di Rcc necessari allo Shuttle. La grande protezione offerta dalle piastrelle di ceramica è forse la voce di costo più pesante per le missioni dello Shuttle. L’ispezione e la preparazione dopo ogni missione richiedono almeno 60 giorni. Questo sta spingendo la Nasa verso la ricerca di nuove soluzioni, come l’Armor, piastrelle metalliche a base di leghe di nickel o di superceramiche che possano sostituire il naso in Rcc. La protezione dal calore e il disegno aerodinamico sono quasi inscindibili e un deciso passo avanti nella tecnologia della protezione termica avverrà soltanto con la prossima generazione di Shuttle. Forse proprio con il futuristico progetto euro-russo, che ambisce a sostituire la gloriosa navetta made in Usa.