Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  ottobre 28 Venerdì calendario

Il motore a benzina è destinato a scomparire? Certamente nessuno si aspetta che il petrolio finisca da un giorno all’altro (dovrebbe bastare per almeno altri vent’anni), ma la preoccupazione per l’esaurimento delle riserve di greggio e per il riscaldamento globale del clima fanno sì che in tutto il mondo si stia facendo molto, se non di tutto, per trovare un’alternativa ai propellenti tradizionali

Il motore a benzina è destinato a scomparire? Certamente nessuno si aspetta che il petrolio finisca da un giorno all’altro (dovrebbe bastare per almeno altri vent’anni), ma la preoccupazione per l’esaurimento delle riserve di greggio e per il riscaldamento globale del clima fanno sì che in tutto il mondo si stia facendo molto, se non di tutto, per trovare un’alternativa ai propellenti tradizionali. E la strada sembra proprio essere quella dei biocarburanti, ricavati da prodotti vegetali come grano, colza e barbabietole. A differenza di quanto accade con il petrolio, nessun Paese domina il mercato con la propria produzione di etanolo o altri biocarburanti, così i grandi produttori investiranno 6 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni in piantagioni di canne da zucchero e in distillerie. In oltre trenta paesi, piantagioni di palme da olio, soia e cocco sono già state dedicate alla produzione di carburanti che, secondo i loro sostenitori, sarebbero in grado di ridurre del 90% le emissioni dei gas che causano l’effetto serra. Per fare un esempio, in Brasile (di gran lunga il maggior produttore di zucchero per carburanti) la maggior parte dei venti milioni di automobilisti fanno il pieno con un carburante tagliato al 25% con etanolo (alcol etilico), ma sempre più macchine di nuova generazione vanno a etanolo puro, che oltretutto è considerato un ottimo carburante. A maggio, il Giappone ha firmato un affare da 15 milioni di litri di biocarburante proprio col Brasile, con l’obiettivo di sostituire fino al 3% della benzina nipponica. Il più grande impianto singolo al mondo di produzione di etanolo (che sarà raddoppiato a breve) si trova in Cina, mentre gli Stati Uniti producono già 10 miliardi di litri all’anno, che per ora vanno a coprire solo il 2% dell’uso totale di benzina. Nel 2025, infatti, il 25% dell’energia consumata negli Usa e in Europa dovrà provenire dall’agricoltura. Obiettivo della Ue è usare il 6% di biocarburante dal 2010: la direttiva europea sui biofuel punta a portare al 2% la loro incidenza sul totale (benzine e diesel) in ogni Paese membro già a partire da quest’anno, tanto che agli agricoltori vengono pagati 45 euro per ogni ettaro riconvertito alla coltura di prodotti utili per fare il biocarburante. La Germania (50% di crescita annua) è diventata la maggiore produttrice al mondo di biodiesel, la Francia pianifica di triplicare la produzione di etanolo e olio di colza entro il 2007, mentre l’Italia ha deciso di andare controcorrente, dirottando i finanziamenti dal biodiesel all’etanolo derivato da scarti vinicoli, i cui campioni (pare di notevole purezza) sono già allo studio. Il vero problema riguarda le quantità: le terre destinate alle coltivazioni estensive sono limitate e con i residui delle vigne non si potrà coprire più del 5% fissato dalla Ue per il 2010, per poi raggiungere il 10% nel 2020. Sommando a questo l’energia proveniente dalle biomasse, non si dovrebbe comunque raggiungere più del 15-20% del consumo medio italiano. Il resto andrà importato, per esempio da Paesi come la Romania, dove sono disponibili territori più vasti per la coltivazione della colza. Il problema è comunque più fiscale che tecnologico: la decina di aziende che in Italia produce biodiesel, si vede tassare il gasolio ottenuto dall’olio di semi come se fosse un olio minerale o un prodotto petrolifero, cosa che impedisce di sostenere la concorrenza del gasolio tradizionale.