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 2005  ottobre 28 Venerdì calendario

Navis sideralis, ovvero astronave. Instrumentum computatorium, cioè computer. E anche caeliscàlpium per grattacielo e sphaerigraphum per penna a sfera

Navis sideralis, ovvero astronave. Instrumentum computatorium, cioè computer. E anche caeliscàlpium per grattacielo e sphaerigraphum per penna a sfera. Il latino, se fosse ancora lingua viva, suonerebbe così. E in effetti, in tutto il mondo, c’è chi davvero lo tratta come un idioma tuttora in uso: in Finlandia e in Germania esistono notiziari radiofonici in latino, mentre in Inghilterra s’insegna anche ai bimbi di 7 anni, con un fumetto che ha per protagonista il topo Minimus. In Italia, dove i siti e i circoli dedicati al ”sermo classicus” si moltiplicano ed esiste persino un tg nella lingua dei Cesari, papa Ratzinger ha recitato in latino la sua prima messa. Insomma: siamo diventati tutti latinisti? Luciano Canfora (foto a destra), ordinario di Filologia greca e latina presso l’Università di Bari, spiega: «In Finlandia la ripresa del latino si deve al professor Heikki Solin, maniacale nella sua ammirevole passione. In Germania, nell’Accademia di Saarbrücken, i convegni sono in latino e il caffè sia chiama cafeum nigrum. Ma si tratta di un gioco per bambini cresciuti, di un fenomeno di minoranza, un passatempo frigido per cerchie ristrette. Non di una ripresa della lingua latina come lingua di comunicazione qual era fino all’Illuminismo. Per la precisione finché non fu pubblicata la prima grande opera di riferimento anche per i dotti, tutta in francese: l’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert. Il francese all’epoca era la lingua egemone, come oggi lo è l’inglese. L’Encyclopédie fu la vittoria dei moderni sugli antichi». «E oggi», continua Canfora, «non si può tornare indietro, ricreando l’uso moderno del latino: durante il Fascismo, che voleva la rinascita della lingua dei Cesari, ci fu un’idea un po’ buffa: Radio Cairo, di tanto in tanto, interrompeva le normali trasmissioni per trasmettere un bollettino in latino. Ma l’idea del ”latino vivente” era una forzatura e tale rimase. Ho il massimo rispetto per chi cerca di appassionare i giovani allo studio del latino con strumenti fantasiosi, ad esempio i fumetti. Ma proprio questi ingegnosi stratagemmi dimostrano che il ritorno del latino non c’è, anzi. Il latino si perde, e per evitare che si perda s’inventano strumenti fantasiosi. Mi si perdoni il paragone gastronomico, ma è come riempire di spezie una minestra che, altrimenti, non va giù». Però lei è un grande sostenitore del dovere di studiare il latino: «Senz’altro. Nel mio libro Noi e gli antichi (Rizzoli, 7 euro), citando un pensiero di Gramsci, ribadisco che lo studio del latino è indispensabile perché è duro, difficile. Il latino è una magnifica disciplina per imparare a imparare. , per la mente umana, come il cadavere per lo studente di anatomia: una lingua morta, a differenza di una lingua viva, si può vivisezionare. Il cervello s’impossessa dei suoi meccanismi sfruttando tante facoltà come la memoria e la capacità di connessione». Anche se il latino non potrà tornare a essere lingua viva, in un certo senso Siamo tutti latinisti, come recita il titolo di un libro, ormai quasi introvabile, scritto nel 1986 da Cesare Marchi per la Rizzoli. L’autore offre nel volume «divagazioni e istruzioni per l’uso delle 500 parole che ogni giorno prendiamo dal latino, magari senza saperlo». Macchina del Tempo ha scelto le frasi più note, e le ha raccolte in un dizionarietto. Gli accenti sono usati solo per facilitare la lettura.