MACCHINA DEL TEMPO OTTOBRE 2005, 27 ottobre 2005
I soldati della Seconda guerra mondiale credevano tutti nelle ”nobili” ragioni per le quali si combatteva? La nostra giovanissima lettrice Francesca Arcidiacono di S
I soldati della Seconda guerra mondiale credevano tutti nelle ”nobili” ragioni per le quali si combatteva? La nostra giovanissima lettrice Francesca Arcidiacono di S. Venerina (CT) lo ha chiesto a Rosario, suo anziano parente. Qui ne riporta il racconto, fatto «con gli occhi lucidi e la voce rauca». «Ero un giovane come tanti altri. Lavoravo sodo nei campi e desideravo solo una vita normale, una famiglia. Tutto cambiò quando fui costretto a partire per la guerra. Tanti si nascosero o cercarono di fuggire: noi, legati alla nostra terra, perché avremmo dovuto combattere? Chi voleva uccidere innocenti sconosciuti? Partii con una valigia di cartone, le lacrime agli occhi e il desiderio di tornare in quella terra che amavo tanto. Mia madre mi diede il S. Rosario, l’immagine ’da Madunnuzza, un po’ di formaggio e quattro vestiti. C’erano Turi e Orazio con me: in due settimane di cammino arrivammo in Piemonte e in breve mi portarono al fronte, al confine con la Francia. Furono giorni terrorizzanti. Non c’era da mangiare e io non volevo uccidere, né morire, ma non c’era più religione. Un’alba scambiammo dei francesi per commilitoni... Quando fummo a pochi passi, rividi la mia vita in un attimo! Ero morto. Invece ci sedemmo davanti a un fuoco e ci diedero dell’acqua. Come noi, cercavano solo di tirare avanti. Poi arrivarono altri francesi, così cercammo rifugio in un convento di suore di Moncalieri. Dopo due giorni i soldati si avvicinarono. Feci una buca in terra e ricoprii tutto con una latta e delle foglie. Nonostante il freddo, stetti lì per ore, senza mangiare e dormire. Sentivo il rumore dei loro scarponi sopra di me, l’urlo nero delle persone uccise e pregavo. Quando uscii, tutto era distrutto. Salii nella soffitta dove si era nascosto Turi e trovai il suo corpo. Non potevo lasciarlo lì, eppure dovetti andar via. Gli misi al collo il Rosario di mia madre e presi la sua collana con la Madonna (piange). Avevo perso anche lui, unico vero amico d’infanzia. Di Orazio non seppi più nulla, se l’erano portato via. Andai verso Torino, ma trovai solo cadaveri e sangue. Preso dal panico, fuggii nella nebbia. Dopo quattro giorni mi presero. Ero un uomo morto: come disertore, Mussolini m’avrebbe fatto fucilare. Dovetti cambiare i documenti con quelli di un morto. Mi rimandarono in trincea verso la Francia. Nevicava sempre e sparavano anche di notte. Una sera gli spari si avvicinarono come l’ombra della nostra morte. In un attimo mi ritrovai solo. Mi nascosi dietro un cadavere e piansi. Pensavo a quell’angelo di mia madre, a mio padre, ai miei fratelli... C’erano ancora? Fui ferito e rischiai di morire dissanguato. Ormai pregavo soltanto, mi ero arreso al mio destino, ma un uomo mi salvò portandomi in ospedale. In un altro ospedale mi congedarono e io, sfinito, giunsi a piedi in Sicilia. La guerra, che orrore! Era ormai il tempo della vendemmia... (i suoi singhiozzi diventano lacrime)».