Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  settembre 29 Giovedì calendario

Che cosa ha insegnato la terribile spagnola. Panorama 29/09/2005. Una cosa è certa: quando arriverà, la prossima pandemia influenzale non troverà il mondo impreparato e vulnerabile come nel 1918, l’anno in cui apparve la terribile spagnola, che, secondo le stime, fece da 20 a 40 milioni di morti

Che cosa ha insegnato la terribile spagnola. Panorama 29/09/2005. Una cosa è certa: quando arriverà, la prossima pandemia influenzale non troverà il mondo impreparato e vulnerabile come nel 1918, l’anno in cui apparve la terribile spagnola, che, secondo le stime, fece da 20 a 40 milioni di morti. Ma cosa succede davvero quando un’epidemia grave e molto contagiosa minaccia da vicino un paese? L’esperienza della spagnola può impartirci qualche lezione, nonostante le condizioni tanto mutate e la realtà della guerra che, allora, fece da sfondo alla malattia, amplificandone gli effetti. Come arrivò in Italia? Quali strategie igienico-sanitarie furono messe in campo? Che ruolo ebbero i media e come reagì la popolazione? Su quando e dove apparve per la prima volta il virus della spagnola ancora non c ’è certezza. Quanto al luogo, alcuni storici sostengono che la seconda ondata autunnale, quella responsabile della gran parte dei decessi, partì simultaneamente in diversi angoli del pianeta (Francia, Sierra Leone, Massachusetts). Studi più recenti fissano una data precisa, il 22 agosto 1918, e un luogo, Brest, in Francia, il porto in cui transitavano le truppe americane. In base ad alcuni documenti conservati alla Direzione generale di sanità, però, proprio quel giorno in Italia il ministro dell’Interno firmava la circolare informativa sull’influenza. Già a luglio, infatti, si erano verificati casi di morte al Sud, nella zona di smistamento delle truppe in partenza e in arrivo dal fronte sud-orientale. Che sia stata l’Italia il luogo in cui il virus ha subito la mutazione che ne ha aumentato la virulenza? La strana influenza fu preceduta da una prima ondata, benigna, nella primavera 1918. A giugno pareva dileguata. Ma a luglio iniziarono ad apparire casi gravi, con congestione polmonare e broncopolmonite. Le inquietudini delle autorità dovevano essere forti se a metà luglio il prefetto di Catanzaro conferì al direttore della stazione sanitaria di Crotone l’incarico di svolgere ricerche batteriologiche su sangue ed espettorato di due coniugi «del comune di Limbadi deceduti in seguito a un’infezione di tipo influenzale». Ma il vero allarme suonò a metà agosto quando nel campo del 62° fanteria a Calestano (Parma) scoppiò un’epidemia di influenza fra le truppe: nel giro di pochi giorni su 1. 600 uomini 500 si erano ammalati e 13 erano morti. La Commissione ispettiva per la profilassi delle malattie infettive stese una relazione in cui precisava: i decessi erano dovuti a complicazioni all’apparato respiratorio. Nessuno lo sospettava, ma il 20 agosto la spagnola era già in Italia. Il 22 il ministro dell’Interno indirizzò ai prefetti del Regno un telegramma nel quale ammetteva che l’influenza si stava diffondendo nel nostro Paese. Essa, precisava, «colpiva le vie respiratorie, tendendo a localizzarsi nei polmoni» e non mancavano casi «con sintomatologia abnorme». Ai primi di settembre i giornali iniziarono a parlare della malattia. Dal Piemonte la Gazzetta del popoloscrisse di un preoccupante aumento di influenza con complicanze polmonari; l’Oradi Palermo pubblicizzava un preparato «contro il dolore di testa e le febbri spagnole». E sulla Stampaun medico accennava all’epidemia che «inquietava la cittadinanza». Da giorni, del resto, l’incredibile abbondanza di necrologi e resoconti di cerimonie funebri rivelava la verità: un’ecatombe di ragazzi e giovani morti «nel rigoglio della giovinezza, per un fatale e improvviso morbo», secondo la formula più frequente. La malattia destinata a terrorizzare il mondo si presentava all’improvviso: febbre (39°-40°), fastidi alla gola, mal di testa, stanchezza, dolori articolari. Se in molti casi spariva dopo qualche giorno, per altri c ’era una ricaduta: «Il manifestarsi improvviso di una nuova e intensa elevazione termica» scriveva un cli-nico bolognese «preannuncia quasi con sicurezza l’insorgere della complicazione polmonare». Né erano infrequenti forme dell’infezione pneumonica fulminante, con manifestazioni emorragiche che conducevano a morte in poche ore. Tracheobronchiti, broncopolmoniti, polmoniti avevano esito infausto. Un male strano. Le autorità sanitarie ripetevano che era influenza, ma pochi vi credevano. Nessuno aveva mai visto tante morti provocate da quella sindrome che, in genere, insorgeva d ’inverno e non in estate. Per di più colpiva soprattutto giovani adulti (15-40 anni). I giornali, aggirando la censura, ospitavano giudizi di ricercatori stranieri e italiani, in conflitto circa l’eziologia della malattia, attribuita fino ad allora all’Haemophilus influentiae. Ipotesi stravaganti trovavano spazio. Si parlava di dengue, di «febbre da pappataci», di un’infezione provocata dai cadaveri nei campi di battaglia. Gli organi di stampa diventarono divulgatori di consigli, ricette, esperimenti, strategie terapeutiche che finivano per creare confusione. Di fronte al fatto che neppure la scienza capiva la natura del male, molti trascuravano le raccomandazioni sanitarie. Il numero dei morti cresceva, mentre calava quello dei medici, vittime anch ’essi dell’epidemia. Gli ospedali erano strapieni: molti morivano a casa, rantolando per «la fame d’aria». A settembre e nelle prime settimane di ottobre, l’influenza viaggiò a velocità impressionante. E servivano a poco le misure di contenimento: chiusura di scuole, teatri, luoghi di ritrovo; proibizione delle visite agli ammalati in case e ospedali; divieto di cerimonie religiose e funerali, sospensione di fiere e mercati, quotidiana disinfezione di strade, edifici pubblici e chiese. l’odore dell’acido fenico era ovunque, ordini, avvertenze e divieti militarizzavano la società e condizionavano la vita di tutti. Dopo aver raggiunto l’acme tra la seconda e la terza decade di ottobre l’epidemia cominciò a perdere intensità, anche se tra la fine dicembre e i primi del 1919 ci fu una terza ondata, più circoscritta. Con oltre 10 morti ogni mille abitanti l’Italia ebbe, secondo alcune stime, il primato di mortalità in Europa, e fu nona nel mondo. Ripercorrere la storia di quella pandemia aiuta a misurare quanto grande sia la differenza che ci separa da quel cupo autunno 1918, in conoscenze scientifiche, mezzi, strategie terapeutiche, capacità di mobilitazione. La pandemia non è, come allora, un nemico inatteso. Sullo spettro di una nuova spagnola possono avere ragione le risorse di cui disponiamo oggi: scorte di antivirali, vaccinazioni, coordinamento dei piani tra i paesi non più divisi dalla guerra e rapidità di informazioni tra ricercatori e scienziati, già sperimentata nell’emergenza sars. Eugenia Tognotti