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 2005  ottobre 27 Giovedì calendario

A chi è abituato a vivere in città, la notizia potrà sembrare folle, poiché non esiste spazio urbano che non paia rubare spazio alle zone rurali, asfissiando le aree verdi

A chi è abituato a vivere in città, la notizia potrà sembrare folle, poiché non esiste spazio urbano che non paia rubare spazio alle zone rurali, asfissiando le aree verdi. Ma lontano dai centri abitati la realtà è un’altra. I boschi e le foreste, infatti, stanno riconquistando terreno. Almeno in Europa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unece-Fao sullo stato delle foreste europee, presentato nel ”Living Forest Summit”, ogni anno l’area forestale aumenta dello 0,1per cento. I boschi occupano circa mille milioni di ettari, pari al 47 per cento del territorio totale, anche se con grandi differenze da nazione a nazione: si va dall’1 per cento di Malta al 68 per cento di Finlandia e Svezia. Per dare un’idea della loro estensione, vi è l’equivalente di due campi da calcio di foreste per ogni abitante. E anche l’Italia è in linea con quanto accade oltralpe: la vegetazione è cresciuta del 21 per cento negli ultimi vent’anni, passando da circa 8 a più di 10 milioni di ettari. A fotografare la realtà italiana ha pensato il Corpo forestale nazionale che sta portando a termine, in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, l’inventario delle foreste, un censimento dettagliato sull’entità e la qualità delle risorse verdi dello Stivale, che ha richiesto quasi due anni di lavoro. «Non c’è dubbio che, rispetto al primo inventario forestale realizzato negli anni Ottanta, l’estensione è aumentata. I boschi (aree di almeno cinquemila metri quadrati, con una densità di vegetazione superiore al 10 per cento e alberi di altezza media tra i due e i cinque metri) ricoprono quasi un terzo del nostro territorio», afferma Daniela Piccoli, vicequestore aggiunto forestale e responsabile del coordinamento nelle attività di rilevamento dell’inventario. Di questo passo, il continente del futuro potrebbe avere un aspetto abbastanza diverso da quello attuale. Ma come si spiega questo fenomeno di rinaturalizzazione? «Ci sono almeno tre fattori da considerare», spiega Piccoli. «Da un lato, la politica della Comunità europea che, negli anni Novanta, ha finanziato il rimboschimento come misura di controllo delle eccedenze alimentari del settore agricolo. Parte del merito va poi alle operazioni di salvaguardia e di tutela del patrimonio forestale dei Corpi forestali nazionali e, infine, c’è la componente umana: l’esodo dalle campagne continua a spostare la popolazione verso le zone urbane. In pratica, se l’uomo si allontana, il bosco si riappropria del territorio occupato dall’agricoltura». Naturalmente, l’abbandono delle zone rurali non è cosa nuova: è il risultato di oltre un secolo d’emigrazione, industrializzazione e meccanizzazione agricola. Eppure, a detta dei demografi, c’è una differenza sostanziale rispetto al passato: mai il tasso di natalità nei paesi sviluppati ha toccato punte così basse. In Europa, per esempio, dove si trovano 22 dei 25 Paesi con il più basso tasso di natalità al mondo, nel 2030 si conteranno 41 milioni di persone in meno. In sintesi, dalle nostre parti nascono pochi bambini, ci sono molti anziani e pochissimi giovani interessati al lavoro della terra. Per questo, il maggior declino riguarderà le campagne, destinate a perdere un terzo della popolazione. E mentre le terre coltivate si ritirano, le foreste avanzano. «Tuttavia, nei Paesi in via di sviluppo, si verifica esattamente il contrario: lì, la desertificazione sta aumentando», precisa il vicequestore aggiunto forestale. «Dove non c’è acqua a sufficienza, le condizioni climatiche non sono favorevoli e il tasso di natalità è alto, conviene tenersi una capra piuttosto che far crescere un albero. Le capre, poi, si nutrono di piante e la vegetazione con il tempo si ritira e non cresce più». L’aumento della superficie forestale in Europa è un dato confortante: le foreste sono una risorsa preziosa per la salute del pianeta, poiché contribuiscono in maniera determinante a regolare l’equilibrio della biosfera. Basti pensare che un ettaro di bosco può assorbire fino a 14 tonnellate d’anidride carbonica l’anno, fissata dalla fotosintesi delle piante. Eppure, la salute delle foreste europee non è delle migliori. Da un lato, a preoccupare gli esperti, c’è la presenza di ozono nell’atmosfera, che specialmente in estate raggiunge livelli allarmanti, in particolare in Italia e in Spagna. Dall’altro, i livelli di biodiversità sono ancora insoddisfacenti. La rete ConEcoFor, il programma nazionale per il Controllo degli ecosistemi forestali, avviato nel 1995 con l’obiettivo di studiare gli effetti dell’inquinamento atmosferico e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali, ha stimato livelli di ozono tre volte superiori alla soglia di allerta in molti siti della penisola, con punte massime in Sicilia. «L’inquinamento arriva da lontano», spiega Bruno Petriccione, responsabile del programma ConEcoFor. «Ad esempio, in Sicilia arrivano sostanze azotate prodotte nell’area metropolitana di Napoli, di Roma e perfino del Nord America. Il vento le trascina per lunghe distanze e il Sole, che fa da catalizzatore, le trasforma in ozono». Il problema non riguarda soltanto la Sicilia, ma anche aree apparentemente incontaminate del Parco nazionale dell’Abruzzo, della Valtellina, della Toscana e della Campania. Gli alberi soffrono degli effetti nefasti dell’ozono: in particolare il faggio (l’albero più presente in Italia), l’abete rosso, il carpino bianco, gli aceri e i frassini. E anche la fauna è messa in pericolo. Per quanto l’Italia sia uno dei Paesi europei con più alto livello di biodiversità, le piante e gli animali minacciati o a rischio di estinzione sono ancora troppi. A peggiorare la situazione contribuiscono gli incendi, in gran parte di natura dolosa, che ogni estate tornano a bruciare la penisola per decine di migliaia di ettari. Ma qui c’è un dato rassicurante. «La superficie percorsa dalle fiamme è diminuita notevolmente rispetto al decennio scorso», afferma Piccoli. «Negli anni Novanta il fenomeno aveva raggiunto proporzioni allarmanti, dell’ordine di 50 mila ettari di terra bruciata in una stagione. Negli ultimi anni le cifre si sono abbassate intorno ai 20 mila ettari. un buon segno dell’impegno del Corpo Forestale per la difesa delle foreste».