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 2005  ottobre 27 Giovedì calendario

Ogni storia ha un inizio. L’inizio della mia si perde nella notte dei tempi. Come te e come noi tutti, ho perso per sempre il ricordo della mia nascita

Ogni storia ha un inizio. L’inizio della mia si perde nella notte dei tempi. Come te e come noi tutti, ho perso per sempre il ricordo della mia nascita... Quando sono nato? Il giorno in cui mia madre mi ha messo al mondo oppure la notte in cui i miei genitori si sono amati? E prima di quell’istante, dov’era ciò che poi si sarebbe riunito per diventare me? Dov’era dispersa la galassia dei dieci miliardi di miliardi di miliardi di atomi che sarebbero diventati me? In quale pianta, in quale sasso, in quale animale, in quale volto sono migrati, prima di ritrovarsi in me? E dov’erano i frammenti di questo puzzle prima che apparisse la Vita, prima ancora che la Terra si formasse dalla polvere di stelle? La mia storia si confonde con la storia dell’Universo». Recita così la voce di Sotigui Kouyaté, poeta e musicista africano, nonché narratore dell’ultimo film di Claude Nuridsany e Marie Pérennou, i medesimi autori del fortunatissimo Microcosmos. Genesis (questo è il nome del loro nuovo, grandioso film-documentario, nelle sale italiane dal 30 settembre) non cerca la meraviglia della vita in una piccola zolla di un prato. No, i suoi obiettivi sono molto più vasti, come le parole evocative di Sotigui Kouyaté rivelano: andare all’origine stessa della vita dell’intero Universo per poterla scoprire e rappresentare. «Sì, abbiamo girato il binocolo nell’altro senso. Ma il principio, fondamentalmente, è lo stesso», rivelano i due autori francesi. «Abbiamo fatto in modo di cambiare la maniera di guardare cose apparentemente banali per riscoprirne l’incanto. Per esempio, che cosa significa essere vivi?». Sulla scia di questa domanda, Nuridsany e Pérennou si sono lanciati in un avventuroso viaggio durato due anni e mezzo: dall’Islanda al Madagascar, dalle Galapagos alla Polinesia... senza dimenticare il lavoro in studio, con tecniche avanzate. «Per le scene degli inizi della Terra abbiamo fatto una trasposizione con frammenti di ”realtà” fuori scala», raccontano i registi. «Filmando una sezione di un metro delle cascate in Islanda a una velocità molto elevata, le piccole increspature sembrano onde enormi e la pioggia una tempesta terribile. Ci sembrava importante non usare mai immagini digitali, ma soltanto elementi naturali... Inoltre, alcune scene sono appunto state girate in studio, in un piccolo teatro costruito in proporzione alla taglia del nostro cast. In questo modo potevamo controllare tutto: la luce, il riflesso dell’acqua, i dettagli di una scenografia in cui avevamo piantato ogni singolo filo d’erba. Abbiamo filmato utilizzando un sistema di Motion Control, costruito esclusivamente per questo progetto, in maniera da rendere ogni movimento più fluido. Gli esterni sono stati molto più acrobatici...». Ma come è stato possibile filmare in maniera così perfetta un feto? E il pulcino dentro l’uovo? «Per due anni e mezzo, il dottor Jean-Marc Levaillant ha filmato ”provini di feti” per noi, usando una macchina altamente sofisticata che permetteva di realizzare ecografie in 4D. Sono stati addirittura osservati comportamenti ancora sconosciuti. Si è scoperto che un feto di due mesi gattona nel liquido amniotico, mentre sua madre non riesce ancora a sentirlo muovere». I territori misteriosi si moltiplicano e le immagini suggestive anche. Buona visione.