Panorama 27/10/2005, pag.397 Adriano Sofri, 27 ottobre 2005
Abusi di numeri poco perfetti. Panorama 27/10/2005. Ho assistito a un convegno su uso e abuso dei numeri, intenzionato a ridurre gli abusi e arricchire gli usi, a cominciare dalla scuola
Abusi di numeri poco perfetti. Panorama 27/10/2005. Ho assistito a un convegno su uso e abuso dei numeri, intenzionato a ridurre gli abusi e arricchire gli usi, a cominciare dalla scuola. Così ho pensato a me stesso, che non gioco al lotto, e vivo al 30 per cento, socio di minoranza, dunque: Eugenio Montale visse al 5, e chiese di non aumentare la dose. Si dice, di una persona capace e competente, che «ha i numeri». L’Italia per tradizione ha preferito le parole ai numeri, e chiamava gli ignoranti «illetterati»: «omo sanza lettere» si definiva addirittura Leonardo, che sapeva poco il latino. L’illusione era, e forse è ancora, che i numeri siano meschina quantità, e le lettere preziosa qualità. (Ulrich, l’uomo senza qualità di Robert Musil, era un matematico). I relatori del convegno raccomandavano di considerare insieme i numeri e il contesto linguistico in cui sono collocati. A cominciare dai titoli dei giornali, spesso confezionati inserendo numeri impressionanti dentro cornici di orpello. Una reazione possibile somiglia a quella del tipo che si era allarmato: «Un miliardo di anni? Ah, meno male: avevo capito un milione!». Iperbolica è l’aleatorietà delle cifre politiche. Alla manifestazione dell’Unione a Roma c’erano 100 mila persone per i promotori (e per Umberto Bossi), 30 mila per la questura, 5-10 mila per un giornale governativo (aleatorio è parola imparentata con alea, che è il dado: si danno i numeri a casaccio, tirando i dadi. Albert Einstein non si rassegnava all’idea di un Dio che giocasse a dadi. Neanche i dadi però vanno del tutto a casaccio). A New Orleans si sono contati oltre mille morti, però per alcuni giorni se ne erano annunciati più di 10 mila. L’11 settembre sono morte meno di 3 mila persone, benché Oriana Fallaci abbia creduto alla cifra di 40 mila. L’Onu previde un minimo di 500 mila morti nelle operazioni di guerra in Iraq. Al contrario, i trucidati di Srebrenica furono 8.400, cifra ancora negata da troppe autorità serbe. Negazionismo (e minimizzazione) sono sempre abusi di numeri. Le società arcaiche e antiche hanno un’attenzione estrema, quando non una venerazione religiosa, per i numeri. L’Antico testamento unisce all’esattezza scrupolosa un culto della numerosità, passato anche nei Vangeli. Letture magiche e cabalistiche assegnano a ogni parola e a ogni lettera un valore numerico. A volte, per far tornare i conti, si aggiusta un po’ il testo. In Guerra e pace, Pierre prova a calcolare se non tocchi a lui liberare l’umanità da Napoleone: bisogna che il suo nome dia la somma fatidica 666. Alcune delle controversie decisive del nostro tempo sono guerre di numeri, soprattutto in economia e in meteorologia, che sono diventate le scienze inesatte protagoniste del futuro: misurare l’innalzamento presente e futuro del livello del mare. Ci sono, ne ha parlato Fabio Rossi, della Banca mondiale, «abusi di numeri a fin di bene»: così l’originaria fissazione dell’1 per cento del pil dei paesi ricchi per gli aiuti ai poveri, percentuale, data la composizione della spesa degli stati, troppo ambiziosa, sicché nessuno vi si è attenuto e la cifra ha subito una quantità di aggiustamenti al ribasso (la questione rinvia a priorità e rigidità: se per esempio si facesse la pazzia di considerare prioritaria la lotta contro la morte per fame di milioni di bambini...). Ci sono incertezze sui numeri che sembrano oziose o lussuose, e tuttavia sono appassionanti. Due specialmente, per me. L’altezza dell’Everest : che differenza volete che faccia, direte, un metro in più o in meno. E invece no: mi interessa. Ancora di più mi interessa sapere se sia vero o no che gli esseri umani viventi oggi superino per numero tutti gli esseri umani morti. un’opinione diffusa e ripetuta (anche dal bambino protagonista dell’ultimo romanzo di Jonathan Safran Foer, preoccupato che tutti i viventi vogliano recitare contemporaneamente Amleto, perché non ci sarebbero abbastanza teschi). Se fosse vero, temerei un ulteriore spirito maramaldo dei vivi contro i trapassati, e un abuso su scala universale del principio maggioritario. Altri, per esempio Martin Rees, Il secolo finale, calcolano che il numero dei morti superi di 10 volte quello dei viventi. Al convegno un autorevole giurista, Tullio Padovani, ha parlato dell’invadenza dei numeri nel diritto penale. Ha definito «teurgici» i numeri come quello dei tre partecipanti almeno necessari a configurare l’associazione criminale (mentre nel diritto civile due bastano a costituire una società). Tre è numero magico e perfetto. Tuttavia mi pare che una differenza logica esista tra il rapporto diretto fra 2, e quello indiretto fra 3, o più. Che mi sembra confermato dalle lingue antiche, cioè più ricche e precise, che conoscono il singolare, il duale e il plurale: l’1, il 2, e il 3 o più. Non occorre che spieghi perché sono soprattutto interessato ai criteri con cui si stabiliscono i numeri delle pene: che sono anni di vita (di non vita) di animali umani. Il loro arbitrio è amarissimo: numeri assoluti, forbici fra minimi e massimi, giochi algebrici di aggravanti e attenuanti, continuati e cumuli. Io riesco a spiegarmi, non a rassegnarmici, la facilità abitudinaria con cui si accetta l’arbitrio con la sconcertante separazione fra giudici della pena ed esecutori della pena, condannatori e carcerieri. Distinzione necessaria, ma spinta fino a una disincarnazione del ruolo del giudice, che calcola e pronuncia numeri, non importa che si chiamino «anni», esattamente come se si trattasse di un appena più complicato sistema di voti scolastici. Diventeranno davvero anni quando il condannato passerà nelle mani dei birri. A scuola, a volte basta un 5 o un 4 a spingere alla disperazione estrema un ragazzo. Adriano Sofri