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 2005  ottobre 16 Domenica calendario

Uno chalet per Perón ed Evita. Il Sole 24 Ore 16/10/2005. Notte di pioggia battente. La Chevrolet nera ha lasciato il centro di Buenos Aires e procede verso nord, tenendosi alla larga dalle grandi avenidas

Uno chalet per Perón ed Evita. Il Sole 24 Ore 16/10/2005. Notte di pioggia battente. La Chevrolet nera ha lasciato il centro di Buenos Aires e procede verso nord, tenendosi alla larga dalle grandi avenidas. Il colonnello Juan Domingo Perón guida con cautela. Al suo fianco, Evita scruta il profilo di lui, teso, accigliato. La giovane donna sospira: filava tutto così liscio, per il colonnello la scalata al potere all’interno del governo militare sembrava cosa fatta, dato che era riuscito a concentrare nelle sue mani tre cariche strategiche - Vicepresidenza, ministero della Guerra e Segretariato del Lavoro - senza contare che, attraverso un aumento dei salari operai concesso al momento opportuno, Perón si era guadagnato le simpatie popolari... Eppure, all’improvviso, la parte più conservatrice dell’esercito l’ha silurato, esonerandolo da tutti gli incarichi. Lo braccano, vogliono la sua testa. Da due giorni sta nascosto a casa di lei. Per fortuna Ludwig Freude, il capo della comunità tedesca in Argentina, si è fatto avanti: possiede una casetta in una delle isole dell’immenso delta del Paraná. Un luogo dove nascondersi in attesa di capire cosa diavolo stia succedendo in città. là che sono diretti. Sul sedile posteriore il fratello di lei, Juan Duarte, "Juancito", insieme a Rudi Freude, figlio del magnate tedesco. La notte si fa più nera quando l’auto raggiunge il porto fluviale di Tigre. La pioggia martella la banchina. Sotto un ponte li attende una lancia. L’imbarcazione si allontana velocemente dalla riva, sorpassa le società canottieri e le case del fine settimana, si inoltra nel delta tra isole buie e disabitate. Un cane latra da un pontile e dalle isole circostanti risponde un coro di ululati. Nella piccola cabina, in quattro si sta stretti. Juancito e Rudi fumano nervosamente. Dalla porticina aperta le folate umide penetrano nelle ossa e congelano le mani. Evita trema guardando nel buio, gli occhi fissi sulla schiena del lanchero che guida sotto la pioggia, protetto da un impermeabile di cerata. Starnutisce, la gomma del cuscino su cui sta seduta è impregnata di umidità. Pensa rabbiosamente alle svolte crudeli del caso, dato che dietro la caduta in disgrazia di Perón non c’è solo la diffidenza dei militari più conservatori verso le sue misure populiste a favore degli operai, ma anche le chiacchiere sulla donna che il colonnello si è scelto per la vita. Sa che nelle conversazioni dei salotti-bene parlano di lei come "esa mujer", quasi non fosse degna neppure di essere chiamata col proprio nome. Perché Evita na Cenerentola dei bassifondi, partita da una sordida pensioncina di provincia con una valigia di cartone e approdata per un miracolo da radionovela al fianco del promettente colonnello in ascesa. Ché lei ha conosciuto Perón un anno fa, al Luna Park: gli si vvicinata con faccia tosta e gli ha inchiodato addosso gli occhi nocciola, dichiarandogli con dolcezza: "Colonnello, grazie di esistere". L’ha subito conquistato: Perón da mesi ne ha fatto la sua accompagnatrice, ma i conservatori non sono mai stati disposti a dimenticare le origini di Evita, figlia di N.N., e il suo passato equivoco di soubrettina. Quegli stronzi. Ma la pagheranno cara, sì, &la mí no van a cagarme", sibila tra i denti. Lei ci ha messo anima e corpo in questa impresa di salire la scala sociale, di sovvertire l’ordine delle grandi famiglie di un tempo. Se ne frega, lei, del vecchio ordine. La lancia piega a sinistra in uno stretto canale. I rami dei salici colpiscono il tetto della cabina, il lanchero diminuisce la velocità finché l’imbarcazione non sbocca in un río più largo. Il fascio di luce della lampada a cherosene che sta a prua illumina ondate di acqua nera e rive coperte da ceibos e bambù. "Manca molto?" chiede Evita, con un’espressione stanca. Rudi risponde: "La nostra casa è sul l’isola Ostende, lungo il ramo Tres Bocas". Parole che non hanno alcun significato per Evita che di geografia del delta non sa nulla. La lancia vira di nuovo a sinistra con un salto brusco, colpendo l’acqua con violenza. Appare un pontile tra arbusti e canne. "Ci siamo" annuncia Rudi. Quando Evita si mette in piedi, il cuscino umido le resta attaccato alla gonna. Ha un gesto di stizza. La mierda... Juancito la aiuta a salire sul pontile. Intorno, una barriera di ombre. Un lampo illumina per un istante un irreale chalet. Rudi fa gli onori di casa. In effetti la costruzione è decisamente incongrua rispetto alla selva del Paraná che la circonda: si tratta di un vero e proprio chalet, in tutto e per tutto uguale a quelli che si possono trovare nella Foresta Nera, rigorosamente di materiale importato dalla Germania. Qui, assicura Rudi, staranno tranquilli. Unico abitante del l’isola è il custode, Otto, un tedesco grasso e calvo di cui ci si può fidare ciecamente. Perón lancia al padrone di casa un’occhiata di gratitudine. Il padre di Rudi, Ludwig Freude, nel corso della guerra ha messo più di una volta a disposizione la propria casa, nell’elegante barrio di Belgrano, perché Perón e altri militari autori del golpe del giugno 1943 incontrassero nella massima discrezione gli inviati del Terzo Reich; infatti, oltre a essere uno dei dieci uomini più ricchi del Sudamerica, Ludwig Freude per anni ha lavorato per il servizio segreto di Ribbentropp, la Informationstelle III. Perón gli deve molto: a parte gli agganci con il Governo tedesco, è stato proprio Ludwig Freude a mettere in serie difficoltà il giornale "Crítica"che si era permesso di pubblicare articoli antiperonisti. Per questo, quando un mese fa, il ministro degli Esteri argentino, Juan Cooke, ha promesso all’ambasciatore statunitense l’estradizione di Ludwig Freude e ha firmato il decreto di espulsione, Perón è corso in aiuto del suo fedele sostenitore tedesco, esibendo per lui una falsa certificazione di cittadinanza argentina, firmata da un giudice compiacente; in tal modo ha evitato che Freude fosse costretto a lasciare il Paese. Ha smesso di piovere. Oltre i vetri si avverte l’imminenza dell’alba. Evita siede vicino al camino acceso, con una coperta sulle ginocchia. Mentre Rudi e Juancito fanno un giro di ispezione intorno alla casa, il colonnello si siede accanto a lei cingendole le spalle con un braccio. Un fruscio. La coppia sobbalza, ma è soltanto Otto venuto a portare il caffè che nessuno dei due aveva richiesto ma che in realtà è proprio quello che ci voleva. "tutto come un sogno" dice Evita. "Basta desiderare qualcosa, per ottenerlo". "Molto meglio di un sogno" ribatte il colonnello e finalmente sorride. I tre giorni successivi sono per Evita una luna di miele anticipata. Otto ce la mette tutta per compiacerla: non parla quasi castellano e risponde a ogni richiesta di lei con un sonoro "Jawohl!". Giorni di quieta felicità amorosa. Gli ultimi mesi sono stati così estenuanti... da agosto che gli intellettuali scendono in piazza contro i militari. A settembre una gigantesca marcia "por la Constitución" ha bloccato il centro. Perón ha dichiarato lo stato d’assedio, le carceri si sono riempite di giornalisti e docenti, l’università ntrata in sciopero. La polizia ha dovuto sgombrare coi lacrimogeni la Plaza de Mayo invasa dalle madri e dalle mogli dei prigionieri politici. Alla radio, dove Evita lavora, nei giorni scorsi correva la voce che fosse imminente un pogrom e si diceva che nelle sinagoghe argentine ci si preparava a fronteggiare un possibile attacco... Ma nello chalet dei Freude tutto questo sembra lontano. Sdraiata con le mani incrociate dietro la nuca, Evita con un brivido immagina l’eventualità che i militari scovino Perón e lo facciano sparire, magari nel carcere di massima sicurezza dell’isola Martín García. Ma se i conservatori pensano che bastino due manette per cancellare dalla scena politica un uomo come Perón, si sbagliano di grosso, pensa Evita. Di sicuro, non appena la notizia venisse diffusa dalla radio, gli operai scenderebbero in piazza; ché Perón ha aumentato loro i salari e i poveri delle sterminate periferie di Buenos Aires, chiamati con disprezzo "negros", non sono ingrati... Inutilmente allora la polizia cercherebbe di bloccare gli accessi alla città chiudendo il ponte di Avellaneda. Evita sorride: le pare di vedere i negros che traversano il Riachuelo con zattere improvvisate, si buttano a nuoto; emergono dall’acqua fetida del fiumiciattolo della Boca, fradici e unti di petrolio; si tolgono le camicie sporche e proseguono descamisados. Arrivati poi a Plaza de Mayo, i negros tuonerebbero chiedendo che Perón venga immediatamente reintegrato nei suoi incarichi; cosa che, per placare la folla, succederebbe nel giro di poche ore. E in una notte di gloria Perón si ritroverebbe in piedi dietro la balaustra del balcone della Casa Rosada, chino sulla folla osannante, come in un bel film hollywoodiano... "Ho fatto uno strano sogno" sussurra Evita al colonnello che gli sta sdraiato al fianco. Lui tace. "O forse si trattava di un’altra vita". Un minuto dopo, il silenzio della notte è rotto da un rombo di motori. Un riflettore illumina lo chalet. Un calpestio di stivali sul pontile. I militari irrompono nella stanza e ammanettano Perón. Il resto è storia nota. Il sogno di Evita non è molto lontano dalla realtà e forse la supera perché, quattro giorni dopo il ritorno trionfante alla Casa Rosada, Perón la sposa. Quanto agli altri, Ludwig Freude diventa da quel momento il principale sostenitore della campagna presidenziale peronista, canalizzandovi notevoli contributi della comunità imprenditoriale tedesca residente in Argentina; da parte sua, Perón si sdebita nominando Rudi capo della División Informaciones, servizio segreto personale del presidente, e aprendo le porte del Paese all’immigrazione tedesca. Ché certamente, tra le diverse strade percorse dai criminali di guerra in fuga, una passa da quel balcone della Casa Rosada da dove, mezzo secolo dopo, la cantante Madonna canterà "No llores por mí, Argentina", nel film Evita. Laura Pariani