La Stampa 26/10/2005, pag.5 Jacopo Iacoboni, 26 ottobre 2005
Dalla: il primo sindaco coraggioso. la Stampa 26/10/2005. Bologna. Lucio Dalla, un tempo a Bologna non si perdeva neanche un bambino
Dalla: il primo sindaco coraggioso. la Stampa 26/10/2005. Bologna. Lucio Dalla, un tempo a Bologna non si perdeva neanche un bambino... «E’ cambiato tutto. E poi a ripensarci già allora le cose non erano così tranquille. Bologna è una strana città». Che città? «Solo un matto, in senso buono, uno strano, può prendersi sulle spalle il peso di venire qui a fare il sindaco. Bologna è una città implosa, è tutto e il suo contrario. La sfida di darle ordine e legalità è tanto più giusta, e pazzesca, nel contesto globale in cui siamo, col mondo che si trasforma, le sicurezze che vengono meno, il lavoro che diventa precario e molti squilibri che si fanno più dolorosi». Bologna ne patisce? Patisce davvero questa forma di insicurezza postmoderna o il sindaco esagera? «Le dico: io abito in una via del centro, ed è pe-ri-co-lo-sa. Bologna è una città con una stabilità sociale apparente, ma in realtà di equilibrio, come tutte le città di oggi, ne ha poco. I sindaci precedenti non hanno voluto mettere il dito nella piaga delle dinamiche complicate di questa scissione cittadina, l’apparente opulenza e il senso di disagio sottostante. Cofferati è l’unico che ha avuto il coraggio di farlo. Gli altri, anche Zangheri, o Vitali, in epoche diverse, sono stati dei semplici gestori del problema. Cofferati è l’unico che ha avuto il coraggio di entrarci dentro. E guardi, lo dico io che non sono suo amico, lo conosco appena, quando ci incontriamo "ciao Sergio ciao Lucio" e finisce lì». Non gli ha mai parlato un po’ più a lungo? Uno immagina: vado a fare il sindaco a Bologna e Dalla è uno di quelli che mi metto in cima alla lista, uno dei primi che vado a interrogare per capire la città. «Beh un’occasione vera c’è stata. Eravamo a una cena collettiva insieme, mangiammo tortelli, poi alla fine abbiam fatto una lunga chiacchierata. Lui aveva appena lanciato la sua candidatura e mi spiegò che idea aveva della città, solidale ma rispettosa delle regole. Mi stupì perché pensai "guarda, questo qui viene da Cremona e ha già capito molto della contraddizione di fondo dell’animo bolognese". Perciò non mi stupisco, se affronta i problemi per quello che sono». La sinistra radicale si sente tradita, dicono che il Cinese ha fatto un voltafaccia, aveva alluso a una diversa idea di città in campagna elettorale. «Non è vero. Non si può sempre usare la retorica, la sinistra dimostra carenza di linguaggi, e problemi di comunicazione facendo errori di valutazioni gravi, aggrappandosi a una visione ideologica. Guardi la storia di Celentano, anche da lì si vede». Da quale dei tanti punti di vista? «E’ sbagliato adottare la prima puntata del suo show e collocarla a sinistra, a sinistra di cosa, e di che?». Cofferati però ha anche dei problemi dentro la sua giunta, non solo nella sinistra di piazza. «Il guaio è che parte della sua giunta condivide quell’impostazione vetero-ideologica! Io non credo che Bertinotti abbia mandato nessuno sotto Palazzo d’Accursio, però a volte anche le parole pesano. Tutti hanno il diritto al dissenso, e Bologna ne ha bisogno, ma esprimerlo con gli scontri è anacronistico, è una forma di celebrazione del passato che non serve a niente». Lei quel passato l’ha cantato alla grandissima, Disperato erotico stomp è del ’77, annus terribilis. «Allora la città era percorsa da tensioni ben più gravi. A quel tempo lavoravo con Roberto Roversi, fece una canzone bellissima che alludeva alle vetrine sfasciate, al rumore dei vetri che andavano in frantumi, c’erano i blindati in Piazza Grande. Lo Russo ucciso in strada... Io andai a un convegnone coi nouveaux philosophes, Henry Levy, Glucksmann e gli altri. Ne uscii spaventatissimo dal clima che si stava creando. Però rispetto a oggi c’era un grande tessuto sociale, che fu capace, con qualche ferita e qualche anno, di riassorbire quelle tensioni». E poi come si è arrivati a Guazzaloca, e oggi agli scontri? «Quel momento difficile finì, ma finì perché la città chiuse gli occhi, trattenne il respiro e la burrasca passò. Il danno però era grave: è in quello snodo che Bologna ha perso la sua identità postbellica, centrata sulla Resistenza, senza trovarne una nuova. Quella che arriva a Guazzaloca è una città inquietante, arricchita e impoverita, spaventata dalla stessa mancanza di avvenimenti. Una città che si acquieta solo nell’agiatezza, ma questa fa sì che chi vive di fuori senta ancor più il disagio di non farcela, l’esclusione». Gli studenti del Pratello come le sembrano? Possibile siano ancora in mano a Bifo e Monteventi? «Qui le responsabilità sono non solo della sinistra cittadina che sconta analisi autoreferenziali, ma anche del resto della città. Gli universitari, almeno in parte, sono vissuti come clienti di pub e affittuari di case in centro, e non come una risorsa. Questo li frustra, e li ideologizza molto». Guazzaloca aveva vivacchiato? «Io non l’ho votato, contrariamente a quello che è stato scritto, perché ero in Grecia, però l’avrei anche votato a titolo personale, è un mio amico. Ma il problema di Bologna implosa, paradossalmente, lo può risolvere meglio un sindaco di sinistra che ha rotto l’immobilismo». Jacopo Iacoboni