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 2005  ottobre 21 Venerdì calendario

Folon, i colori della leggerezza. La Stampa 21/10/2005. JEAN-MARIE Folon è morto ieri a Montecarlo, dove viveva

Folon, i colori della leggerezza. La Stampa 21/10/2005. JEAN-MARIE Folon è morto ieri a Montecarlo, dove viveva. Aveva 71 anni ed era malato di leucemia. Tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta, non c’era cameretta di adolescente italiano, o francese, che non avesse appeso sul muro un manifesto di Folon: l’uccello che stende le sue ali bianche nel cielo azzurro oppure l’omino con molti paia d’occhi, o ancora il labirinto-prospettiva. Erano colori pastello, sfumati ma pregni di luce, che Jean-Michel Folon, belga di Uccle, cittadina vicino a Bruxelles, nato nel 1934, aveva iniziato a dipingere a metà degli anni sessanta divenendo in breve tempo famoso in tutto il mondo, partendo dalle copertine delle riviste americane, dal mitico New Yorker, o Fortune e Atlantic Monthly, sino ad arrivare alle grandi decorazioni murali nelle città europee, ai manifesti pubblicitari per il gas non-inquinante degli anni Ottanta e Novanta, o alla pubblicità politica dell’ultimo quinquennio. Folon aveva esordito come aspirante architetto, divenendo poi, per breve tempo, un apprendista giardiniere, e quindi disegnatore, infine illustratore. Dei suoi due primi mestieri gli è rimasto certamente qualcosa di essenziale: il piacere per la costruzione, per il disegno prospettico, ma anche per il suo rovesciamento in chiave surrealista, e soprattutto la preferenza per colori che sono propri dei fiori. I colori sfumati che insieme s’addensano, rivelando così l’aspetto cangiante del mondo vegetale, le sfumature vellutate, vaporose, farinose dei pollini, quei colori che sembravano trovarsi solo lì tra i petali e che invece Folon è riuscito a portare sul foglio di carta. La sua tecnica, di cui non è stato probabilmente l’inventore, ma di certo è il maggior esecutore, consisteva nel bagnare il foglio da disegno con molta acqua prima di stendere il colore; in questo modo, per la tensione superficiale il colore si stende sulla superficie bagnata e si condensa più sui bordi che al centro. Questo spiega perché nei suoi disegni, ma anche nei manifesti, la luce sembra uscire dal centro del foglio, misteriosa, sottilmente inquietante, ma sempre meravigliosamente trasognata e incantata. Kafka, di cui ha illustrato i disegni, nelle immagini create da Folon assomiglia più a Klee che non a Poe, e Bradbury, altro autore di cui ha dato una interpretazione visiva, vira invece verso Chagall piuttosto che in direzione dell’incubo fantascientifico. In questo senso l’arte di Folon ha qualcosa di zuccheroso, di sentimentale. La sua poesia appare a tratti facile; e il trasognato, che possiedono i suoi indecifrabili personaggi, diventa, grazie al colore, rassicurante, là dove invece la figura, poco usata da Folon, reca inquietudine e apprensione. Ha lavorato a lungo in Italia - parlava un italiano molto colorito e insieme sfumato -, scoperto ben presto da quel sismografo sensibile che è stato lo scrittore Giorgio Soavi. Così Folon ha operato per Olivetti, di cui Soavi curava l’immagine grafica, e per l’industria italiana, illuminata promotrice di arte e poesia, ha steso illustrazioni, manifesti, decori pubblici. Alla Triennale di Milano del 1968 accese 500 punti luminosi nel murale per il padiglione francese. Da quel momento in poi, ha tenuto mostre in tutto il mondo allargando la sua sfera di influenza visiva in Occidente, divenendo una specie di griffe, un segno colorato immediatamente riconoscibile che ha condizionato in qualche modo l’immaginario visivo di tutti noi. L’aspetto artigianale del suo lavoro ha convissuto benissimo con quello industriale: l’uso delle chine colorate, degli inchiostri a umido, dei gessetti, della carta ruvida, di cui sfruttava abilmente la grana, ha coabitato felicemente con il grande sistema riproduttivo della stampa a grandi tirature, invadendo con i propri poster le librerie, la cartolerie, i bookshop dei musei, oltre che i muri delle città europee. Folon assomiglia più a una griffe della moda che a un illustratore alla Steinberg. La sua grande abilità di inventore di atmosfere (è autore anche di bellissime animazioni cinematografiche e televisive) ha prevalso sulla poesia inquieta del disegnatore e dell’artista. A lui, così premiato dal pubblico e anche dai conservatori dei musei, è mancato infatti il rodimento nevrotico del segno di un Saul Steinberg, la critica sociale dell’emigrato romeno, analista severo dell’American-way-of-life, oppure il maledettismo di Keith Haring, anche lui maestro commerciale ma anche di provocazioni, dolce e delicato non meno di Folon, o ancora la sfrontatezza maniacale di Warhol, gran visir della riproducibilità, restauratore di aure nel cuore stesso del sistema industriale dell’arte. Folon è stato più lieve, più leggero, più illustratore di tutti loro. E’ stato un poeta del colore, un creatore di atmosfere teatrali, di pubblicità visive, di installazioni murali. Oltre che di sculture così entusiasticamente accolte dalle città italiane (la pietra come contrappasso della soavità del colore). La sua ultima mostra nel nostro paese è aperta a Firenze, città da lui molto amata e visitata anche di recente, nonostante la malattia, la leucemia, che lo aveva colpito. Lascia una fondazione a suo nome visitata nel primo anno di creazione da 80 mila visitatori, innumerevoli opere disseminate per il mondo, oltre ad alcuni rilevanti illustrazioni per opere di scrittori, tra cui Apollinaire, continuamente ristampate e di cui andava orgoglioso. Il suo nome e il suo segno è legato nel senso comune alla leggerezza e alla volatilità, un segno figurativo molto semplificato e proprio per questo estremamente originale che, mentre saccheggia a proprio uso e consumo la storia dell’arte del XX secolo con intelligenza, garbo e curiosità, è stato a sua volta saccheggiato dalla musa oggi più potente incombente e della nostra società contemporanea: la pubblicità. Marco Belpoliti