MACCHINA DEL TEMPO NOVEMBRE 2005, 26 ottobre 2005
Tute bianche, mascherine, calzari e attrezzature supertecnologiche. Sono gli uomini del Ris, il reparto Investigazioni scientifiche dell’Arma dei Carabinieri che negli ultimi anni ha ricostruito le mosse di assassini e vittime anche in tanti omicidi in famiglia
Tute bianche, mascherine, calzari e attrezzature supertecnologiche. Sono gli uomini del Ris, il reparto Investigazioni scientifiche dell’Arma dei Carabinieri che negli ultimi anni ha ricostruito le mosse di assassini e vittime anche in tanti omicidi in famiglia. Il Tenente colonnello Luciano Garofano (nella foto), comandante dei Ris di Parma e autore del libro Delitti imperfetti (Tropea editore, 14 euro), affronta ogni anno con i suoi uomini oltre 4 mila casi. Tra questi, storie clamorose come la strage di Novi Ligure (vedi box a pagina 84). E ci racconta il suo lavoro, fatto di intuito, pazienza e tecnologie sempre più sofisticate: «La vicenda di Erika e Omar ci ha visti impegnati nel rilevamento e nella decifrazione dei resti del duplice omicidio, per risalire al ruolo dei due responsabili», spiega il colonnello. «Tracce, schizzi, orme. Quando entrammo nella villetta della strage, c’era sangue dappertutto. Questi residui, per il Ris, sono un giacimento di informazioni. Li preleviamo, li elaboriamo e li studiamo con la massima cura. Per la prima volta in Italia, nel caso di Novi Ligure, abbiamo applicato una tecnica scientifica praticata da tempo negli Stati Uniti e nota col nome di Bpa (Blood pattern analysis): in italiano, analisi delle caratteristiche delle macchie di sangue. La tecnica si basa sullo studio della forma e della dimensione di ciascuna traccia. Dalla misura della lunghezza e della larghezza di ciascuna macchia è possibile ricavare l’angolo di impatto e calcolare quindi il punto di convergenza e il punto di origine dei singoli schizzi. Di ogni gruppo omogeneo di macchie si è poi in grado di valutare le corrispondenti traiettorie, il che permette di formulare ipotesi sulla posizione di vittima e aggressore e sul tipo di arma o di armi impiegate. Con queste tecniche abbiamo decodificato gli spostamenti di Erika e Omar». Nella vicenda di Novi Ligure il Tenente colonnello Garofano e la sua squadra hanno rilevato anche tracce invisibili di sangue, grazie al Luminol: «Il Luminol è un test per la diagnosi di sangue particolarmente adatto a tracce datate o lavate. Si utilizza una soluzione a base di 3-amminoftalidrazide, che viene nebulizzata sulla superficie da saggiare. La presenza di sangue (emoglobina) è rivelata da una caratteristica luminescenza blu elettrica, molto fugace e apprezzabile solo nel buio più completo». Il Ris di Parma utilizzò il Luminol in tutte le stanze della villa, rilevando sangue ovunque. Ma in bagno, dove Erika s’era accanita col coltello contro il fratellino Gianluca, che peraltro l’adorava, avviene qualcosa che fa venire i brividi persino agli inquirenti. «Spruzzando la soluzione sulla vasca, sulle mattonelle delle pareti, sul pavimento, per venti-trenta secondi tutta la stanza si accende di un colorino azzurrino che abbaglia i nostri volti increduli. La scia fluorescente, che velocemente si propaga dalla vasca al pavimento al lavandino, fino al bidè, delinea la dimensione luciferina della violenza che si abbattè in quel luogo». Perché tanta crudeltà, secondo lei? «Nel caso di Erika siamo di fronte all’evento estremo: la famiglia è stata il fine dell’atto criminale. Ne è stata anche la causa? Su questi interrogativi, inquirenti, giudici, consulenti e difensori hanno sviluppato una ricerca drammatica e, insieme, d’elevato profilo tecnico scientifico. Il padre di Erika, interrogato pochi giorni dopo il delitto, descrive una realtà molto ”normale”, persino invidiabile in altre circostanze. Un capofamiglia professionalmente affermato (era alto dirigente di un’azienda dolciaria), una madre divisa tra gli impegni col figlio più piccolo e la palestra, una figlia maggiore con qualche problema scolastico e un fidanzato un po’ chiacchierato che però torna a casa puntuale alle 19.30 preoccupandosi di apparecchiare la tavola per la cena (lo fece anche la sera del delitto). Ma i periti della difesa, al di là delle apparenze, puntano con decisione sul clima in cui la ragazza si è formata. Erika è cresciuta con un padre ”complessivamente distante” e una madre apparentemente forte ma in realtà depressa al punto da risultare ”estranea”, emotivamente, per la figlia. I periti parlano di illusorietà e fallacia del rapporto madre-figlia, e richiamano una battuta della ragazza: ”Quello che ho imparato l’ho imparato da mia madre”». Le perizie psichiatriche descriveranno Erika come una ragazza affetta da ”disturbo narcisistico della personalità”. Un’Erika scissa e borderline che aveva bisogno di aiuto e non l’ha trovato: la madre la costringeva a una facciata di brava ragazza, il padre non s’è mai accorto di nulla: ”Cosa ho sbagliato?”, chiedeva ai giudici dopo la tragedia. «A poche ore dal delitto», racconta Garofano, «nella caserma dei carabinieri di Novi Ligure ha luogo un’intercettazione ambientale. Erika e il padre, da soli in una stanza l’uno di fronte all’altra, hanno la possibilità di parlare dell’evento sconvolgente appena accaduto. Possono scambiarsi, in qualche forma, dolore, angoscia o consolazione. Ma a chi ha visto il filmato, e udito il sonoro di quell’incontro, è sembrato ”che ciascuno gestisse da solo il proprio sconvolgimento” (anche Erika, a modo suo)... e la vicinanza nella stanza della caserma era soprattutto contiguità fisica...».