MACCHINA DEL TEMPO NOVEMBRE 2005, 26 ottobre 2005
Il generale Patton era alto, asciutto, occhi azzurro ghiaccio e a 59 anni si manteneva ancora in perfetta forma fisica
Il generale Patton era alto, asciutto, occhi azzurro ghiaccio e a 59 anni si manteneva ancora in perfetta forma fisica. Esibizionista oltre ogni dire, calzava lucidissimi stivaloni da cavallo anche in combattimento e portava alla cintura una rivoltella con il calcio d’avorio. La sua auto, una Packard degna di AI Capone, ostentava due gigantesche sirene cromate e un’enorme bandiera con le stelle da generale. Detestava, in ordine crescente, inglesi, ebrei, arabi, siciliani, tedeschi e, successivamente, russi a cui, finito il conflitto, avrebbe voluto seriamente dichiarare subito la guerra. Erano tutte cose che pensava, scriveva e diceva, ottenendo in cambio ramanzine dai superiori e antipatie tanto numerose quanto profonde. Eppure era l’unico generale americano che i nazisti temessero. Ed era certamente il comandante più amato e più odiato nello stesso tempo dai suoi subordinati. Nato da una famiglia di antiche tradizioni militari, George Smith Patton percorre la classica trafila dell’esercito senza sorprese particolari. aiutante del generale Pershing, comandante del corpo di spedizione americano in Europa durante la Prima guerra mondiale. quindi uno dei pochi ufficiali americani con esperienza di guerra. Dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, diventa brigadiere generale e, nel 1941, maggiore generale come comandante della 2a Divisione corazzata. qui che a Patton viene in mente un uso originale dei carri armati, che considera la versione moderna della cavalleria. AI Pentagono se ne accorgono e affidano a Patton lo sbarco della Western Task Force americana in Marocco nel novembre 1942. Con i primi successi si guadagna la terza stella e sei mesi dopo Eisenhower gli affida la 7° Armata, destinata ad appoggiare Montgomery nello sbarco in Sicilia. Patton, che fremeva per assumere un ruolo più decisivo nel conflitto, non ci pensa nemmeno. Vuol essere lui il protagonista dell’Operazione Husky. Sbarca effettivamente nel golfo di Gela, ma poi fa di testa sua: punta su Palermo, la occupa il 27 luglio 1943 e scommette che arriverà a Messina prima del generale inglese, che considera un arrogante rivale, tagliando la ritirata ai tedeschi. Nessuno ci crede, perché Monty è più vicino all’obiettivo. Invece gli inglesi vengono bloccati a Catania dalla divisione scelta nazista Göring, mentre Patton inventa un paio di operazioni anfibie a effetto e il 17 agosto entra a Messina. L’esercito tedesco, però, ha fatto in tempo a fuggire passando lo stretto. Da questo momento fra il generale americano e quello britannico sarà odio eterno. In Sicilia avviene però l’infortunio che influirà su tutta la successiva carriera di Patton: in un ospedale da campo insulta e malmena un soldato illeso, ma preda di una crisi di panico. La stampa americana è indignata, l’opinione pubblica pure. Viene emarginato per breve tempo e non partecipa alla preparazione dello sbarco in Normandia. Poi Eisenhower, che sa di non potersene privare, gli affida la 3a Armata con la quale Patton penetra con incredibile rapidità in Francia e quindi in Germania, dove lo stesso Eisenhower gli impedisce di puntare su Praga per rispettare gli accordi con i russi. Dopo aver attraversato indenne mezza Europa ritto su un carro armato, in mezzo a granate e proiettili, Patton muore il 21 dicembre 1945, nei pressi di Heidelberg, vittima di un banale incidente stradale.