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 2005  ottobre 26 Mercoledì calendario

Ogni anno, in Africa, 12 mila elefanti vengono uccisi per l’avorio delle loro zanne. Un business illegale e miliardario (una statuetta d’avorio costa 185 dollari!) che non risparmia nemmeno i cuccioli: alcune zanne sequestrate di recente, infatti, pesavano poco più di due chili

Ogni anno, in Africa, 12 mila elefanti vengono uccisi per l’avorio delle loro zanne. Un business illegale e miliardario (una statuetta d’avorio costa 185 dollari!) che non risparmia nemmeno i cuccioli: alcune zanne sequestrate di recente, infatti, pesavano poco più di due chili. I bracconieri, pur di impadronirsi dell’oro bianco, sono spietati: ammazzano il pachiferma con i fucili automatici o avvelenando le pozze d’acqua. Poi tagliano le zanne e abbandonano il corpo mutilato nella savana. Risultato: nel 1979 in Africa gli elefanti erano 1.300.000. Dieci anni dopo, quando venne introdotto il divieto totale di commercio dell’avorio, ne erano rimasti 600.000. Come oggi, nonostante la loro protezione. Come mai? Il fatto è che in certi Paesi vengono massacrati dai bracconieri sotto gli occhi delle autorità indifferenti o corrotte. In occasione dell’ultimo incontro della Cites, la Convenzione internazionale che regolamenta il commercio di specie animali e vegetali minacciate di estinzione, era stato annunciato da parte di tutti gli Stati africani un piano d’azione per sconfiggere il commercio d’avorio. Tutto ciò accadeva pochi mesi fa, per la precisione nell’ottobre 2004. Ma i dati del Traffic-Wwf confermano che il commercio d’avorio è un’attività sotterranea dura a morire: oltre 10 mila oggetti d’avorio sono stati trovati in vendita in un solo paese - l’Egitto - in un solo mese di ricerche. Non solo: un recente studio del Trade Record Analysis of Fauna and Flora in Commerce, basato su controlli diretti nei mercati di nove città di Nigeria, Costa d’Avorio e Senegal, ha trovato in vendita oltre 4 tonnellate di avorio, pari a 760 elefanti. Solo che in questi tre Paesi non ne rimarrebbero, in totale, più di 543. chiara quindi la vendita illegale di avorio proveniente da altrove, come Congo, Camerun o Gabon, dove la legalità è dura da ristabilire a causa di guerre e disordini. Per fermare questa strage, il Wwf ha lanciato una nuova campagna, S.O.S. elefanti, dove chiede la collaborazione di tutti (per donazioni, potete chiamare il numero verde 800 990099): squadre di sorveglianza saranno attive 24 ore su 24 nelle zone più frequentate dai pachidemi e potenzieranno i controlli per combattere il commercio clandestino. Gli elefanti vengono uccisi per l’avorio ma anche per mangiarli o perché a volte causano danni e vittime ai villaggi e coltivazioni quando si avvicinano in cerca di cibo e acqua. Lo stesso vale per gli elefanti selvatici asiatici, oggi ridotti a 35-50.000 esemplari in tredici Paesi. Pochissimi, ma il problema è che la deforestazione e l’agricoltura ne compromettono le tradizionali rotte migratorie, tanto che gli elefanti affamati sono costretti a devastare i raccolti e a entrare in competizione con l’uomo. Risultato: solo in India, circa 300 persone uccise ogni anno. Conseguenza: i contadini sparano agli elefanti e i braccianti delle piantagioni li avvelenano. A questi ovviamente bisogna aggiungere i bracconieri organizzati, che fanno stragi d’elefanti per denaro. In Cambogia gli elefanti in soli 10 anni sono scesi da 2.000 a 400 esemplari, e in Vietnam da 1500 a 150. Difficile che in molti di questi tredici Paesi l’elefante selvatico sopravviva ancora per molto. Lo stesso vale per l’elefante africano, che però in alcuni Paesi è anzi divenuto troppo numeroso. Solo nel Parco Kruger gli elefanti sono 13.000, quando il parco ne può sopportare 7500. da notare che per salvaguardare l’ambiente del parco, fra il 1967 e il 1994, ne sono stati abbattuti circa 2000 l’anno.Il problema è che mentre in altri parchi, come quello di Ngorongoro in Tanzania o di Masai Mara in Kenya, gli elefanti migrano liberamente da un territorio all’altro, nel Kruger è quasi impossibile, poiché è recintato. Il sovrannumero di elefanti (solo in Kenya ne vivono 28 mila!), provoca un impatto devastante sull’habitat. Mangiano il 70 per cento della vegetazione, sradicano gli alberi e bevono oltre 200 litri d’acqua al giorno a testa, cosicché altre specie, come i rinoceronti, rischiano la morte per fame. L’unica soluzione in tali casi è la diminuzione degli elefanti, per mano dell’uomo o per fame. Fra le varie ipotesi c’è quella di limitarne il numero con pillole anticoncezionali, solo che tale intervento costerebbe 87 dollari a dose per animale, senza contare che gli esemplari resi temporaneamente sterili dovrebbero essere dotati di un collare-radio in modo da poter essere localizzati per poi iniettargli altre dosi di anticoncezionale ogni quattro settimane. Insomma, troppo costoso. Alcune istituzioni hanno pensato di trasferirli, come sta facendo il Kenya con 400 elefanti che, debitamente narcotizzati, catturati e trasportati con camion, saranno trasferiti dalla riserva di Shimba Hills fino al Parco di Tsavo. Là ne rimarranno 200, quelli che rappresentano il numero massimo sostenibile. Inizialmente questi costosi trasferimenti non funzionavano appieno. Per esempio, venivano trasferiti esemplari subadulti che, comportandosi da vigorosi ”teppistelli”, si divertivano a sfidare e uccidere i rari rinoceronti. Oggi invece si trasferiscono insieme giovani e adulti, che sanno tenerli a bada e insegnar loro il giusto comportamento, non tanto nell’interesse dei rinoceronti, quanto per limitarne l’aggressività anche verso i membri della stessa specie. Stesso problema per lo Zimbabwe, che però non è in grado di affrontare i costi di trasferimento da un parco all’altro, ossia 9000 dollari a elefante. Che cosa fare? Secondo molti esperti, se non si avranno risorse economiche per ripopolare altre aree africane ancora adatte dalle quali gli elefanti sono scomparsi, l’unica soluzione sarà l’abbattimento legale, fornendo così cibo alle popolazioni più povere e vendendo l’avorio, incluso quello immagazzinato negli anni e derivante da esemplari morti per cause naturali, al fine di utilizzarne gli utili per controbattere efficacemente i bracconieri che, a differenza delle guardie, spesso sono dotati di armi e mezzi sofisticati. Inoltre, è basilare far capire alle comunità locali che dalla fauna e quindi da una sua corretta protezione e gestione possono ottenere concreti benefici alimentari, economici e occupazionali. Infatti, finché la fauna locale viene considerata come qualcosa che non appartiene a loro, le comunità locali non avranno alcun interesse a rinunciare esse stesse ad attività di bracconaggio o a cercare di impedire che questo sia praticato selvaggiamente da altri.