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 2005  ottobre 26 Mercoledì calendario

Cotto Alejandro

• Suchitoto (El Salvador) 13 novembre 1928. Regista • «[...] fama leggendaria di cineasta di un paese come il Salvador quasi senza cinema [...] El rostro racconta la situazione miserabile dei contadini di inizio secolo, ponendo a confronto il loro aspetto macerato con il volto stesso della terra, percorsa da altrettante rughe accumulate, l’avvicendarsi di stagioni, la nascita e la morte, composizione che possiamo accostare decisamente all a grande astrazione. La terra ha il suo linguaggio del silenzio, si dice, il linguaggio della sensualità. Come l’uomo è alla ricerca di qualcuno che lo consoli, così gli alberi si protendono in alto, ma ciò che più colpisce è l’abilità di muovere sullo schermo i bianchi e neri, le superfici lisce e grinzose in un poema che è molto simile al racconto surreale. ”I produttori tedeschi avevano visto il mio primo film e mi fornirono la macchina da presa e la pellicola”. Ma dove aveva fatto esperienza di cinema? ”In Salvador senza scuole di cinema, c’è ugualmente la scuola di entusiasmo, di idealismo. Io ho studiato cinema in Messico, con il modello del neorealismo e introdotto da un regista che è stato per me come un padre, Julio Bracho”. Bracho è infatti un nome importante del cinema messicano, non solo un pioniere nato all’inizio del ’900, molti capolavori della sua cinematografia portano la sua firma, ma è stato anche il capostipite di una famiglia di artisti famosi (attori e attrici, scenografi, ballerine). ”Fu lui a convincere il sindacato a farmi accettare come assistente. Infatti in Messico nessuno che non fosse messicano poteva lavorare, lo stesso Buñuel ebbe moltissimi problemi”. E sappiamo che anche a De Sica e Zavattini furono chiamati anche loro in Messico, poi fu loro impedito di realizzare il film progettato. ”Bracho mi fece lavorare con Buñuel, con John Ford, con Yves Allégret. Ho lavorato con Buñuel in vari film come Las aventuras de Robinson Crusoe, Abismos de pasiòn con Irasema Dillian nel ’54 [...] Buñuel? Era un po’ strano, sembrava di cattivo carattere, si isolava totalmente per guardare le carte su cui scriveva le sue sceneggiature e nessuno osava più pronunciare una parola. Allora lui si metteva a gridare: ’parlate!’ perché aveva paura di diventare sordo. Amava Garcia Lorca, anche se non gli piaceva il suo teatro, ricordo che era ferito dalle voci messe in giro sul conto di Lorca da Dali [...] Lo osservavo. Poi un giorno gli ho chiesto, con il coraggio che hanno i giovani: maestro, perché dirige come un cineamatore? e mentre glielo chiedevo pensavo che si sarebbe seccato. Invece lui mi rispose: ’perché sono un amateur, mi piace sperimentare sempre [...] Io sono un campesino, sono nato in un piccolo paese e vedevo la povertà, l’accettare supinamente la triste condizione e nonostante questo la bellezza della mia terra. In quanto all’elemento mistico, l’unica manifestazione che ho ripreso è la domenica delle palme, volevo catturare l’intensa ricerca di Dio del contadino, ma allo steso modo si vedono riti molto più antichi, le danze maya, rituali che i contadini compiono senza rendersene conto. Una volta tornato in Salvador ho fatto poi molta pubblicità perché non si poteva fare cinema. Un altro mio film si intitolava Carta, composto con le lettere a mia madre, la mia migliore confidente, a cui raccontavo i vari paesi da me attraversati, Colombia, Brasile, Perù, Argentina, Cile. Con i soldi guadagnati nella pubblicità ho costruito una grande casa in stile coloniale, l’ho riempita di quadri di amici pittori e di una cineteca video che contiene 400 titoli, un giardino con fontane”. [...] tutto questo lo ha regalato alla gente del suo paese in maniera molto ufficiale con un testamento che trasformerà la casa in un museo, e ha istituito fin dal ’91 un festival ”permanente” di arte e cultura a Suchitoto [...] Nel suo film El carreton de los suenos (’73) mostrava i tuguri della gente miserabile, i bambini che trasportavano su carrettini gli oggetti su commissione, ma anche sogni, come dice il titolo: ”è considerato un film premonitorio perché termina con queste parole: ’ora è caricato di sogni, domani sarà carico di violenza’ e poco dopo scoppiò nel mio paese la guerra» (Silvana Silvestri, ”il manifesto” 25/10/2005).