Vanity Fair 27/10/2005, pag.79 Gabriele Romagnoli, 27 ottobre 2005
I ragazzi dello zoo di Torino. Vanity Fair 27/10/2005. La più incredibile era Giada. Mi telefonò un pomeriggio al giornale
I ragazzi dello zoo di Torino. Vanity Fair 27/10/2005. La più incredibile era Giada. Mi telefonò un pomeriggio al giornale. "Ho una grossa notizia per voi", si presentò. Quale? "Sono arrivata alle semifinali di Miss Italia". Dov’è la notizia? "Sono un uomo". La più malinconica era Monica Vitti. Ogni pomeriggio al bar annunciava: "Un emiro mi ha mandato un biglietto aereo di prima classe, parto domani per un lungo viaggio, non so quando mi rivedrete". La sera successiva era come sempre al suo posto, in piedi all’angolo tra il corso principale e una strada più oscura, con i suoi capelli biondi platinati. Voleva diventare Marilyn, aveva la casa tappezzata di foto di Marilyn, ma quella a cui era riuscita a somigliare, quella di cui aveva il soprannome era Monica Vitti. Poi c’era Patty Pravo, che arrivò sul podio al concorso di Miss Trans in Versilia. C’erano Asha e Valentina, che finirono ammazzate a quattro anni di distanza. E c’era, naturalmente, Patrizia, ”il carabiniere”, nei secoli fedele a un angolo di strada a pochi passi dal garage del giornale. Quando ne uscivo, fossero le dieci o l’una di notte, era lì, gettava un’occhiata, poi girava la testa. Non l’ha fatto vedendo, sul divano di casa sua, il giovane Lapo Elkann in fin di vita e gliel’ha salvata. Anziché con morbosa curiosità andrebbe ricompensata con generosità. Il lato mercenario del rapporto non è prevalente: le sarebbe bastato violare la riservatezza che ha sempre mantenuto per fare molti più soldi. Di fronte alla sua apparizione il pubblico ha provato stupore e disagio. La domanda ovvia è stata: come è possibile? Come è possibile che un giovane uomo che può avere e ha avuto tutto trascorra le sue notti in simile compagnia? Non è stata una esperienza isolata e non è un caso isolato. Chi lo afferma si nasconde la realtà. Non conosce, o preferisce non conoscere, i propri fratelli, amici, mariti, figli. E non ha mai conosciuto Asha, Giada e le altre. Quando Valentina è morta ammazzata, nel 1995, aveva depositato in un conto alla Popolare di Novara un miliardo di vecchie lire. Centoquarantacinque milioni erano nascosti nei cassetti del soggiorno. Non li aveva ereditati. Quel che conosco del mondo dei trans torinesi e dei loro insospettabili frequentatori ho cominciato a impararlo nel 1991. Mi colpì un fatto di cronaca avvenuto a Torino la notte di San Valentino di quell’anno. Due giovani appartenenti a famiglie agiate si erano ritrovati quella sera: nessuno dei due aveva una fidanzata con cui trascorrerla. Avevano bevuto, poi avevano preso la pistola del padre di uno di loro ed erano andati fuori città a fare il tiro a segno nel bosco. Al rientro avevano deciso di fare uno di quei giochi serali da maschi male accompagnati: il ”puttan tour”. Alla fine del giro avevano caricato quella che a loro era sembrata la prostituta più avvenente, una mora fasciata in abito blu elettrico: Asha. Che all’anagrafe era Antonio Andriani da Molfetta, provincia di Bari. La sorpresa, la reazione, nell’abitacolo era partito un colpo e Asha era morta. Il ragazzo che non tirò il grilletto fu prosciolto, l’altro se la cavò con una pena lieve, roba di mesi. La natura della vittima influì innegabilmente sul verdetto. Andai a un’udienza del processo e, come tutti, fui attratto da una presenza dominante: Valentina, all’anagrafe Cosimo Andriani, fratello di Antonio o sorella di Asha, dipende. Era alta un metro e ottanta più i tacchi, portava abiti e occhiali da diva. UN TOPOLINO E UN CROCIFISSO Ricostruii la loro storia: erano arrivati insieme da Molfetta. Venivano da una famiglia numerosa, avevano 8 tra fratelli e sorelle. Sbarcati a Torino si erano dedicati immediatamente alla prostituzione. Battevano sullo stesso viale, ma su lati opposti. L’insegna di una concessionaria automobilistica avvolgeva Asha di luce blu. Valentina stava davanti a un semaforo. La famiglia ebbe un risarcimento in denaro per la morte di Antonio, lo seppellirono con quel nome. Scrissi un racconto sulla vicenda. Provai a immaginarla dal punto di vista del fratello sopravvissuto. Quando l’antologia in cui venne inserito fu pubblicata, la misi in auto e una sera, a giornale chiuso, uscii. Patrizia ”il carabiniere” era, come sempre all’angolo. Andai sul viale dove stava Valentina, parcheggiai, scesi a piedi e le portai una copia. Non dissi nulla. Lei mi guardò, diffidente. Dopo la morte di Asha era diventata più dura, mi avevano avvertito. Più avida, anche: voleva fare soldi in fretta e togliersi dal marciapiede. C’era una cosa che la rodeva, avrei scoperto poi. Una cosa difficile da accettare. Tutti abbiamo, da qualche parte una ”sliding door”, qualcuno che, per una scelta che noi non abbiamo fatto, è diventato quel che noi non siamo. A volte lo chiamiamo rimpianto. Io credo che alla fine le infelicità e le soddisfazioni di due ”sliding doors” si equivalgano. Valentina aveva una sorella gemella. Qualcuno nato insieme a lei, che però era quel che lei voleva essere: una donna. Senza andare ogni mese dal chirurgo a farsi ritoccare il collo, il mento, la curva del seno. La gemella viveva a Molfetta e aveva marito e figli. Probabilmente invidiava a Valentina il miliardo in banca. Valentina aveva un fidanzato, di 26 anni, chiamato Umberto. Lui l’accompagnava al viale alle undici e la veniva a prendere alle quattro. Passava cinque ore in birreria, stando male. La pregava di non portare i clienti a casa. Impazziva quando trovava una macchia di sudore o altro sulle lenzuola. Sul comodino Valentina teneva un topolino di pietra. Alla parete un crocifisso di vetro. La domenica non lavorava. Spesso organizzavano feste. Venivano Patty Pravo e Monica Vitti, Viviana la brasiliana e la napoletana con la sesta di reggiseno che di notte diventava la Baronessa della Crocetta. Ma soprattutto venivano i ragazzi. Umberto non era un’eccezione. E, per quanto possa sembrare strano, non lo sarebbe stato neppure Lapo Elkann. IL RAGAZZO CHE TI AMA Umberto mi fece vedere le foto di quelle feste: si svolgevano per lo più in discoteca. Sui divani, agitando bottiglie di champagne, sorridevano statue di carne addobbate con lingerie scure e uomini con i capelli rigorosamente corti ("loro ci vogliono maschi"), gli abiti a righe, la cravatta non impegnativa. Ognuno di loro potrebbe avere avuto e ha avuto una ragazza della Torino bene o una modella bella e disperata. O qualunque altra. Davvero ci si può chiedere: perché finisci da Patrizia quando puoi avere la velina o la ragazza copertina? Probabilmente perché hai avuto la velina e la ragazza copertina. Perché il gioco della complicità e della sofferenza con qualcuno come Valentina raggiungeva livelli che nessuna ragazza avrebbe mai fatto sfiorare. Un purgatorio in terra, un rito di passaggio, umiliante, eccitante, catartico: dormire sul lenzuolo macchiato da uno sconosciuto che ha lasciato i soldi sul comodino, abbracciando una creatura che è una creazione. Spesso a metà della festa il telefono di qualcuna suonava. Lei rispondeva ed era una convocazione che non ammetteva rifiuto. Partivano in due o tre, uno dei ragazzi le accompagnava in auto. Le lasciava ai cancelli di una villa in collina. Se i trans di Torino raccontassero chi c’era dietro, se le drag queen di New York dicessero da chi salgono quando i portieri di Park Avenue le fanno passare con un cenno d’intesa, guarderemmo con occhi diversi quanto meno le partite di calcio e i consigli d’amministrazione. Ma non lo fanno. Tra loro parlano soprattutto di scarpe. Tutte le collezionano. La loro regina, una che ce l’ha fatta e vive ritirata in una splendida casa davanti alla chiesa della Gran Madre, ha addirittura una stanza-scarpiera, le cui pareti si schiudono con un telecomando mostrando una sfilata di tacchi. E parlano di operazioni, del chirurgo di Milano che è il migliore nel farle, benché il più costoso. Valentina aveva un appuntamento con lui, il giorno in cui è scomparsa. Il suo corpo non è mai stato trovato. Il suo cellulare l’aveva Umberto. Abbiamo passato qualche pomeriggio insieme, prima che lo arrestassero con l’accusa di omicidio. Raccontava di come lei amasse le sorprese, della volta che andò a prenderla dal parrucchiere con un mazzo di rose rosse e della faccia che fecero le madame sedute sotto il casco vedendo che un ragazzo giovane e bello portava i fiori a, come dire, ”quella”. Nonostante l’inevitabile giro di malignità (sommate lo spirito di competizione maschile alle gelosie femminili) ho sentito Patty Pravo dire che Valentina era stata fortunata: almeno aveva incontrato un ragazzo che l’aveva amata veramente. Uno che poteva avere qualunque altra cosa, ma la domenica sera era contento di essere lì, con lei, un topolino di pietra e un crocifisso di vetro. Gabriele Romagnoli