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 2005  ottobre 25 Martedì calendario

Laird MelvinRobert

• Nato ad Omaha (Stati Uniti) il primo settembre 1922. Politico. Segretario di Stato alla Difesa con Nixon (1969-1973), organizzò il ritiro dell’esercito Usa dal Vietnam. «Richard Nixon fu eletto nel 1968 sulla base del presupposto che avesse un piano per porre fine alla guerra del Vietnam. In realtà egli non aveva alcun piano del genere e spettò a me, in quanto suo primo Segretario alla Difesa, porvi rimedio, e rapidamente. L’unico piano stabilito fu formulare quanto avevo suggerito per la piattaforma repubblicana del 1968, e cioè che era tempo di de-americanizzare la guerra. [...] Nel mio ufficio trovai una cosa che fece chiarezza su quella che avrebbe dovuto essere la mia missione. Si trattava di un documento segreto, tanto breve quanto inquietante. Era una richiesta, risalente a un anno prima, da parte del generale William Westmoreland per portare il numero del contingente americano impegnato in Vietnam da 500.000 a 700.000 unità. Il memorandum era rimasto nel limbo della scrivania del segretario alla Difesa, né approvato né respinto. Quale mio primo atto simbolico dopo aver assunto la carica fu per me motivo di grande soddisfazione respingere formalmente quella richiesta. Ciò segnò l’inizio di un ritiro dal Vietnam lungo quattro anni che, retrospettivamente, divenne l’esempio da manuale di come le milizie statunitensi dovrebbero levare le tende. Altri che non si trovavano là potranno dissentire da questa mia versione dei fatti, ma sono stati malinformati da oltre trent’anni di faziosità riguardo alla Guerra del Vietnam. Il risultato di tale disinformazione ha lasciato gli Stati Uniti timorosi rispetto alla guerra, estremamente riluttanti ad intervenire persino per una giusta causa e insicuri rispetto alla propria capacità di venir fuori da una guerra, una volta che vi sono entrati. sufficiente sussurrare ”un altro Vietnam” e le mani cominciano a sudare. Sono rimasto in silenzio in questi trent’anni perché ho sempre ritenuto che la vecchia guardia non dovesse impicciarsi degli affari delle nuove amministrazioni, specie in tempi di guerra. Ma la rinnovata denigrazione del nostro ruolo in Vietnam alla luce della guerra in Iraq mi ha spinto a parlar chiaro. Oggi meritiamo una visione della storia che si basi sui fatti piuttosto che sulle storture emozionali o sulla linea politica di uomini stanchi che giocano con le emozioni. La mia non è una visione rosea della Guerra del Vietnam. Non manco di riconoscere che sia stato un capitolo terribile, malgestito e tragico nella storia degli Stati Uniti, che ha portato ovunque a una devastante perdita di vite umane. C’è tuttavia nella nostra nazione chi preferirebbe estirpare questo bubbone piuttosto che lasciare che guarisca. Non aspettano altro che l’occasione per rievocare lo spettro del Vietnam ogniqualvolta ci sia la minaccia di un altro intervento armato. Per costoro il Vietnam è come una polizza assicurativa che finge di garantire la pace interna al Paese fintantoché non ci si spinga fuori dai confini nazionali. La verità sul Vietnam che gli storici revisionisti non raccontano è che gli Stati Uniti non hanno perso la guerra quando ci ritirammo nel 1973. Con la vittoria in pugno andammo incontro alla sconfitta solo due anni dopo, quando il Congresso tagliò i fondi che avevano permesso al Vietnam del Sud di continuare a combattere da solo. Durante i quattro anni del primo mandato del presidente Nixon, io avevo cautamente programmato il ritiro della maggior parte del nostro contingente di pari passo al progressivo rafforzamento della capacità del Vietnam del Sud di difendere se stesso. La fine dei finanziamenti lo condannò invece all’invasione da parte dei vietcong. Un’altra grande tragedia del Vietnam, insieme all’abbandono dei nostri alleati, è stata l’americanizzazione della guerra. [...] John F. Kennedy destinò a Saigon poche centinaia di consiglieri militari. Johnson vide nel Sudest Asiatico il luogo in cui fermare la diffusione del comunismo e non lesinò né sulle spese né sul personale. Quando io e Nixon ereditammo la guerra, nel 1969, c’erano più di mezzo milione di truppe nel Vietnam del Sud e un altro milione e duecentomila soldati, marinai e personale aereo americani che sostenevano la guerra da portaerei e basi militari stanziati nei Paesi confinanti e sul mare. La guerra doveva essere restituita alle persone a cui interessava, e cioè ai vietnamiti. Essi avevano bisogno dei soldi e dell’addestramento, ma non di altro sangue americano. Io chiamai il nostro programma ”vietnamizzazione” e, a dispetto di chi sostiene il contrario, continuo a credere che abbia funzionato. [...] In Vietnam la posizione di chi voleva il ritiro delle truppe alla fine prevalse, e i nostri alleati furono traditi dopo tutto il lavoro fatto per cercare di renderli autonomi ed indipendenti. [...]» (’Corriere della Sera’ 25/10/2005).