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 2005  ottobre 12 Mercoledì calendario

Felice Ippolito, storia di una ingiustizia. Corriere della Sera 12/10/2005. Ricordando Giuseppe Saragat, soprattutto il suo contributo alla giovane democrazia nata dopo la caduta del fascismo, lei non ha accennato a quel non bell’ episodio che riguarda l’ incriminazione di Felice Ippolito, scienziato che, probabilmente, ci avrebbe consentito lo sfruttamento dell’ energia nucleare

Felice Ippolito, storia di una ingiustizia. Corriere della Sera 12/10/2005. Ricordando Giuseppe Saragat, soprattutto il suo contributo alla giovane democrazia nata dopo la caduta del fascismo, lei non ha accennato a quel non bell’ episodio che riguarda l’ incriminazione di Felice Ippolito, scienziato che, probabilmente, ci avrebbe consentito lo sfruttamento dell’ energia nucleare. vero che Saragat, eletto presidente della Repubblica, lo graziò, ma poi l’ ambizioso progetto della centrali atomiche fu accantonato per parecchi anni, fino a quello sventurato referendum degli anni 80 la cui responsabilità - va detto per inciso - è da addebitarsi non tanto a Chernobyl quanto piuttosto ai grandi partiti di massa. Tornando a Saragat, se ben ricordo, molti collegarono quell’ incriminazione di Ippolito, per reati che in seguito neppure sarebbero stati presi in considerazione, a sue interessate amicizie con i petrolieri. Lei che ha conosciuto Saragat, che cosa può dire di questo presunto «incidente»? Gianni Celletti giovanni.celletti@tin.it Caro Celletti, ho conosciuto Felice Ippolito negli ultimi anni della sua vita e ancora mi rimprovero di non avergli mai parlato della campagna montata contro la sua persona e del suo ingiusto processo. Ma sono certo che nelle sue parole, se avessimo toccato quell’ argomento, non avrei trovato né rancore, né voglia di vendetta. Aveva le qualità dei grandi gentiluomini napoletani, non amava i piagnistei ed era dotato di una sferzante ironia. Il solo tema che non smetteva di suscitare la sua indignazione era il problema dell’ energia in Italia. Quando l’ Accademia Nazionale delle Scienze, all’ inizio degli anni Novanta, gli tributò un pubblico omaggio, Ippolito ringraziò con un breve discorso in cui disse, tra l’ altro: «In una recente cartina pubblicata dalla Società Italiana di Fisica, si vede il mondo coperto da strisce verticali e orizzontali: orizzontali per i Paesi con i reattori in funzione, verticali per i Paesi che hanno centrali elettronucleari in costruzione, ovvero ordinate. L’ unico Paese nero, in questo planisfero, è l’ Italia. Ma vi pare possibile una cosa simile? Vi pare possibile che un ministro dell’ Industria non senta il bisogno di dire: "Ma che si fa con questo problema dell’ energia?". Nessuno si pone questo problema che (...) esiste, poiché è connesso (...) a condizioni aleatorie, tanto che, per situazioni d’ instabilità politica o di riflessi terroristici, può interrompersi il flusso di metano su cui viviamo, e da un momento all’ altro ne restiamo senza. Allora dobbiamo andarci ad inginocchiare di fronte alla Francia e agli altri Paesi europei per avere un po’ di energia elettrica. Ma è possibile che la ricerca nucleare, (...) non esista più, che perfino quel patrimonio di ricerca, quello che si diceva il presidio, sia stato disperso negli Enti Energetici per responsabilità di vertici, e che per responsabilità di molti oggi non si affronti la questione energetica?». Il nucleare era stato la passione della sua vita e la ragione delle sue disgrazie. Quando divenne direttore del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari, nel 1952, l’ Italia aveva scienziati, ricercatori, tecnici e, soprattutto, ambizioni. Mentre Mario Silvestri lavorava alla creazione di un consorzio industriale per la costruzione di un reattore privato, Ippolito divenne il protagonista di un programma pubblico che mise in cantiere i grandi progetti di Trino Vercellese, Garigliano e Latina. Eravamo allora, secondo alcuni osservatori, il terzo Paese produttore di energia nucleare al mondo, e avremmo potuto, nell’ arco di una generazione, gettare le basi per la nostra indipendenza energetica. Il sogno fu stroncato da una serie di velenosi articoli nell’ agosto del 1963 sulle malversazioni di cui Ippolito si sarebbe reso responsabile nella gestione del suo Ente. Ancora oggi non sappiamo con documentata certezza (e non sapremo mai probabilmente) se dietro quelle accuse e insinuazioni vi fossero alcune aziende petrolifere o elettriche, interessate a evitare che lo Stato diventasse proprietario e amministratore di una energia nuova, più promettente delle altre. Ma sappiamo che il processo e gli 11 anni di carcere, scesi a 5 anni e tre mesi in appello, sono una brutta pagina di storia nazionale. Più tardi, quando ebbi occasione di lavorare con Saragat, giunsi alla conclusione che il leader dei socialdemocratici aveva dato troppo ascolto a qualche interessato consigliere e si era convinto che Felice Ippolito sarebbe diventato, come Enrico Mattei, uno zar dell’ energia e, quindi, un pericoloso manipolatore della vita pubblica italiana. Allorché divenne presidente della Repubblica qualcun altro, per fortuna, dovette spiegargli che era ora di chiudere quella vicenda con un atto di grazia. Dopo due anni di carcere Ippolito ritornò nel mondo della scienza e della ricerca. Fondò e diresse una rivista ( Le Scienze). Fu membro del Parlamento europeo dal 1979 al 1989, prima come indipendente nelle liste del partito comunista, poi per il partito repubblicano. Fu vicepresidente della Commissione nazionale per l’ Antartide. Ebbe riconoscimenti nazionali e internazionali. Il Paese insomma cercò di riconoscergli una sorta di indennizzo morale. Ma il danno maggiore non fu quello inferto alla reputazione di un uomo onesto. Fu quello che il Paese aveva fatto a se stesso. Sergio Romano