Varie, 21 ottobre 2005
VENTURA Michele
VENTURA Michele Sesto Fiorentino (Firenze) 23 dicembre 1943. Politico. Eletto alla Camera nel 1996, 2001, 2006, 2008 (Ds, Ulivo, Pd) • «[...] cresciuto a pane e Pci, coccolato da Berlinguer e impallinato da Occhetto, contrario alla “svolta” della Bolognina [...] capogruppo alla commissione Bilancio, uomo di partito ma anche ex amministratore pubblico, una carriera politica fatta - come tante, in verità - di alti e bassi, con la caratteristica costante del mediatore defilato [...] Figlio di un imprenditore e di una casalinga, il piccolo Michele non pare troppo portato agli studi: almeno, senza ipocrisie, la Navicella parlamentare segnala una esigua “licenza elementare”. Gli piace la politica, invece. Gli uomini forti nella Federazione comunista fiorentina degli anni Sessanta, Piero Pieralli e Silvano Peruzzi, mettono presto gli occhi su quel “figiciotto” meticoloso, equilibrato e restio a farsi contagiare dall’ondata contestataria di fine decennio. Comincia la carriera di funzionario nella sede di di via Alamanni. A 27 anni viene spedito come segretario a Trapani. Torna a Firenze e, dal 75 all’83, è segretario della federazione. È il periodo in cui lascia la prima moglie per una compagna, Maria Pupilli, anche lei impegnata nel partito. È anche il periodo dell giunte rosse, i primi accenni a una svolta “liberal” [...] Ventura innesca grandi speranze di rinnovamento anche dentro il partito. Per qualcuno è una delusione: “In realtà finisce per fare da freno agli amministratori”. [...] La galleria dei soprannomi che il neocoordinatore allora si guadagna è breve ma variegata: va da “leone rosso” a “pasticciere”. Il primo è metà ironico, metà adulatorio: di Ventura, a Firenze, si dice abbia detto raramente un no netto e irrevocabile, gli amici lo accreditano al suo “grande cuore”, gli avversari dell’equilibrismo compromissorio. Il secondo fa riferimento agli otto mesi trascorsi in un laboratorio dolciario, giovanissimo: l’unico periodo di lavoro al di fuori dell’attività di partito che l’avrebbe impegnato per la vita. Nei primi anni Ottanta, nuovo trasloco: Enrico Berlinguer vuole ringiovanire il gruppo dirigente, Ventura è responsabile nazionale per gli enti locali. [...] le cadute [...] Quella quasi irrimediabile capita nell’89. Ventura è vicesindaco. La giunta di Palazzo Vecchio ha quasi concluso una maxitrattativa con la Fiat e la Fondiaria: liberazione di aree cittadine in cambio di nuovi insediamenti nella piana di Sesto. In una città dove le cose si muovono lentissimamente, un’operazione urbanistica di enorme impatto. Troppo, si decide a Roma. Con una telefonata di Achille Occhetto arriva uno stop brutale, che induce, per di più, il sospetto di scambi non troppo corretti con le imprese private. È una tempesta. Dimissioni e defenestrazioni a catena. Anche Ventura deve lasciare la poltrona di vicesindaco.“Ci scontrammo con un ecologismo verde esasperato [...] Ma soprattutto con il partito della rendita di posizione, l’immobilismo fiorentino che non vuole cambiare nulla. Invece era una grande operazione [...]”. [...] La ferita dell’89, comunque, è profonda. Non si è chiusa nel ’92, al congresso della Bolognina che seppelisce il Pci. Michele Ventura è contro la mozione di Achille Occhetto, con Tortorella. Dice: “L’innovazione era giusta. Ma non condividevo il modo, l’impianto che stava dietro”. Difficile, però, non scorgere anche il rancore per chi l’aveva fulminato con una telefonata. Il “pasticciere” deve ripartire dal basso. Sta a lungo con la sinistra diessina. È assessore in Regione. Nel ’99, con una tornata di elezioni suplettive, si riapre la strada romana da deputato eletto nel Chianti. E torna con la maggioranza. [...]» (Enrico Mannucci, “Sette” n. 19/2003).