Varie, 21 ottobre 2005
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TIZÓN Hector
TIZN Hector Yala (Argentina) 21 ottobre 1929. Scrittore. stato avvocato, giornalista, diplomatico, amministratore pubblico e oggi giudice della Corte Suprema. Vive a Yala, piccolo paese a pochi chilometri dalla capitale della provincia di Jujuy, nel nord ovest dell’Argentina, dove è tornato dopo i vagabondaggi imposti dai suoi anni in diplomazia e il lungo esilio politico a Madrid. Ha esordito come scrittore con un libro di racconti, A un costado de los rieles, pubblicato nel 1960 in Messico e solo di recente in Argentina. Tra le sue opere (una ventina tra romanzi e raccolte di racconti), sono da ricordare Fuego en casabindo (’69), El cantar del profeta y el bandido (’72), Sota de bastos, caballo de espadas (’75), La casa y el viento (’84), El hombre que llegó a un pueblo (’88), El viaje (’88), Luz de las crueles provincias (’95), La mujer de Strasser (’97), La belleza del mundo (2004) e antologie come El jactancioso y la bella (’72), El traidor venerado (’78), Recuento (’84), El gallo blanco (’92). «Nel 2004 il senato e la Società argentina degli scrittori lo hanno proposto per il premio Nobel, presentandolo come uno dei più grandi scrittori di lingua spagnola oggi viventi, e i suoi libri sono pubblicati in Francia, Germania, Russia, Polonia, Spagna. In Italia tuttavia non era mai stato tradotto, tanto che a conoscere il nome di Héctor Tizón si può dire siano solo gli specialisti di letteratura ispanoamericana. La pubblicazione del suo Cantare del profeta e del bandito nella bella traduzione di Carmina Avolio (Gorée) è [...] un vero avvenimento, perché sottopone finalmente all’attenzione dei lettori italiani un autore singolare e appartato, la cui fama va crescendo di anno in anno e che sfugge alle classificazioni e alle certezze dei critici o di quelli che Tizón stesso chiama ”professori di letteratura senza fantasia”. In molti, infatti, hanno tentato di rinchiudere Tizón entro i confini del realismo magico: un equivoco nato probabilmente da una lettura superficiale dell’intreccio tra realtà, leggenda e mito che abita le sue opere, e che l’autore rifiuta nel prologo all’edizione italiana [...] E altrettanto limitante è l’etichetta, che per lungo tempo lo ha accompagnato, di scrittore de l’interior, ossia dell’interno, in quanto narratore di una provincia lontanissima dalla sterminata Buenos Aires, una delle tante capitali sudamericane che, scrive Antonio Melis nella prefazione al Cantare, rappresentano una autentica e fagocitante ”testa di Golia”, mostruosamente sviluppata rispetto al resto del territorio. Sarebbe forse più giusto dire che Tizón è non tanto un ”localista”, quanto lo scrittore ”di un luogo” che, perfettamente riconoscibile nei suoi primi romanzi, negli ultimi, come lo splendido La bellezza del mundo (Seix Barral 2004), acquista contorni meno identitari e più universali. A partire da El hombre que llegó a un pueblo (1988), pubblicato subito dopo il ritorno dall’esilio spagnolo, l’opera di Tizón ha registrato infatti una progressiva de-localizzazione, segnata da un diluirsi dei nomi propri o di quelli geografici e da una lenta cancellezione dei precisi riferimenti quasi antropologici che invece connotano romanzi come Fuego en casabindo (1969) e [...] Cantare del bandito e del profeta, in cui i paesaggi di polvere e di luce degli altipiani, i villaggi desolati, gli uomini che incessantemente partono e ritornano sono proprio quelli di Jujuy, all’estremo nord ovest dell’Argentina, ossia il luogo ai confini col Cile e la Bolivia, profondamente legato alla cultura andina, dove Tizón è nato e dove, dopo vagabondaggi ed esilio, è tornato a vivere la sua vivacissima vecchiaia. [...] Il richiamo a certe opere sul ”banditismo rurale” del brasiliano Guimaraes Rosa come pure agli scritti e ai romanzi su ”l’essere indio” del peruviano José María Arguedas, il cui mondo è culturalmente prossimo a quello di Tizón, sembra inevitabile. Ma, al di là di ogni ipotetica influenza e parentela, il percorso dello scrittore argentino si rivela in realtà del tutto personale, innanzitutto per la capacità, così evidente nel Cantare, di rendere universale un mondo provinciale, chiuso, arcaico e remoto, e in secondo luogo per la sapiente costruzione di proprio particolarissimo e ammaliante linguaggio che rimanda all’oralità, la rielabora, la filtra, la interpreta e ce la restituisce attraverso un fraseggio dal timbro e dal ritmo inconfondibili. Se nei romanzi successivi interverrà una disillusa ironia quasi gogoliana (è Tizón stesso a rivendicare l’influenza dell’amatissimo Gogol, al di là e al di sopra di tutte le altre), nel Cantare siamo soprattutto di fronte a una scrittura epica e corale, che nel raccontare testimonia, denuncia, ma soprattutto aderisce alle ragioni della memoria e, in bilico tra fantastico e picaresco, ci introduce in un mondo di esclusi altrimenti destinato a una silenziosa cancellazione. In questo senso, ha ragione Antonio Melis, Tizón canta la fine, e lo fa con una maestria e un’originalità che rimangono, a tutt’oggi, uniche nel panorama letterario ispanoamericano» (Francesca Lazzarato, ”il manifesto” 20/10/2005).