21 ottobre 2005
Tags : Willard. Sojourner
Sojourner Willard
• Nato a Germantown (Stati Uniti) il 10 settembre 1948, morto a Rieti il 19 ottobre 2005 (incidente stradale). Giocatore di basket. «[...] aveva portato la piccola squadra di Rieti dove non sarebbe mai più salita: due volte in semifinale scudetto (’78 e ’79), addirittura padrona di una coppa europea (la Korac ’80). Di quella Rieti, che si chiamò prima Brina poi Althea poi Arrigoni, tutti hanno piacevole memoria: Willy Sojourner e Cliff Meely (anche lui tragicamente scomparso) erano i due americani, Zampolini e Brunamonti gli astri che avrebbero spiccato il volo, Sanesi e Blasetti (che poi prese gli ordini) i gregari più solidi. L’allenava Elio Pentassuglia, pure lui compianto. Davvero il destino non tiene un’agenda, se Sojourner l’ha aspettato lungo quella strada, in Italia, dov’era tornato soltanto da un mese, essendone mancato per più di vent´anni, dando avarissime notizie di sé. Finite le partite ed i sorrisi, lo zio Willy benvoluto da compagni e tifosi, e da nessun nemico di curva dileggiato o insultato, se n’era tornato in America. Si diceva che nel New Mexico avesse un’aziendina che costruiva finestre, ma che poi gli affari fossero andati male e ultimamente tirasse la cinghia. [...] l’avevano rintracciato e fatto venire a Rieti per una partita di vecchie glorie, e a qualcuno era venuta in fretta l’idea di farlo restare. Se avesse saputo insegnare ai ragazzi un decimo di quel sapeva fare lui, su un campo di basket, sarebbe bastato. Non ci fosse riuscito, fa lo stesso: vivere accanto a zio Willy, per giovani cestisti, sarebbe stata in ogni caso un’esperienza formativa. L’altra volta che era arrivato, fermandosi per sei stagioni, fu nell’estate del ’76. Classe ’48, da Germantown, Pennsylvania, mai visto nella Nba, però nella Aba, lega allora concorrente, Sojourner era un omone di 2.10 che il manuale del pivot poteva sfogliarlo tutto, dall’A alla Zeta. Poi s’atteggiava a compagnone, più che a superstar, anche se era stato il lungo di fiducia di un tal Julius Erving, al secolo Doctor J. Dopo i successi di Rieti, fece un’ultima stagione a Perugia, in A2, e nell’83 tornò negli Stati Uniti. Per anni se ne seppe poco o niente, fino a [...] quando la Sebastiani Rieti gli firmò un contratto di due anni per occuparsi del settore giovanile. La sua seconda Italia è durata poche settimane, anche se il ricordo rimarrà indelebile: non bastassero i suoi ganci o le sue risate, egualmente grandiose, pure il rinnovato palasport reatino, il Palaloniano, ne porterà presto il suo nome [...]» (Walter Fuochi, ”la Repubblica” 21/10/2005). «[...] ”Mio fratello Mike non è in casa. Volete offrirgli un provino in Italia? Non può, gioca nella Nba. Perché non prendete me? Mi chiamo Willie e sotto canestro me la cavo bene”. Così Willard Leon Sojourner, un giorno del 1976, rispose al telefono ai dirigenti della Sebastiani Rieti che cercavano un crack americano che unisse talento e spettacolo. ”Vabbè, fallo veni’, basta che è nniru” decisero nella società reatina. Fu la fortuna della Sebastiani e l’inizio della storia italiana di Willie, che avrebbe poi trascinato quella squadra a due semifinali scudetto, alla sconfitta quasi ”inevitabile” nella finale delle Coppa Korac ’79 (in casa del Partizan Belgrado di Kikanovic, nel decennale della morte di Radivoje Korac: impossibile spuntarla), subito vendicata l’anno dopo con la Korac ’80 conquistata ai danni del Cibona Zagabria. [...] dopo la Weber State University era stato 2ª scelta dei Chicago Bulls, la squadra che avrebbe poi lanciato il più grande cestista di sempre Michael Jordan. Lui, Willie, invece non giocò mai nella Nba. Accettò invece le offerte della Aba, seconda lega americana, dove diventò compagno e grande amico di Julius Erving, al quale diede il nomignolo diventato poi famoso di ”Doctor J”. Dopo altre stagioni nelle leghe Usa minori, sbarcò in Italia nel ’76 e contribuì a rendere grande Rieti con altri ottimi giocatori come il secondo americano Cliff Meely, Roberto Brunamonti, Domenico Zampolini e Gianfranco Sanesi. Quest’ultimo diventò anche suo parente acquisito avendone sposato la sorella Arnette, dalla quale nacque il piccolo David [...]. Quella love story tra una nera e un bianco fu molto chiacchierata e osteggiata nella Rieti ancora bacchettona di quel tempo, ma la bonomia del campione e l’affetto del nipotino contribuirono a stemperare gli animi e consolidare la fama di ”zio Willie”. Del quale, oltre alle doti di pivot puro (non si chiamava ancora ”centro”) e di stoppatore (2 metri e 10 di muscoli e nervi), divennero famosi anche i baffi e i riccioli neri, le doti di giocatore di poker, l’irresistibile fascino sulle donne, la passione per i night club romani, la predilezione per l’aranciata con vodka e gli enormi polsini bianchi che esibiva sul parquet e che ai più avrebbero fatto da copricapo. Passate sei splendide stagioni a Rieti, giocò ancora un anno in Italia, in serie A2 a Perugia, poi tornò negli Usa dove visse momenti difficili. Si adattò a occupazioni precarie: camionista, operaio in una fabbrica di cuscinetti a sfera, altri lavori manuali. Per un po’ fece perdere le proprie tracce, poi finalmente riuscì ad avviare un’attività imprenditoriale ad Albuquerque, nel New Mexico. Dove [...] fu raggiunto dalla telefonata dell’amico ed ex compagno Domenico Zampolini [...] team manager della Nuova Sebastiani Basket: ”Zio Willie, Rieti ha di nuovo bisogno di te. Il presidente Papalia vuole affidarti il settore giovanile”. Erano in 5000 [...] al Palaloniano, per rivedere e salutare il vecchio zio Willie che cominciava la sua nuova avventura italiana. [...]» (Giorgio Viberti, ”La Stampa” 21/10/2005).