Varie, 20 ottobre 2005
LORI Fabrizio
LORI Fabrizio Mantova 18 novembre 1968. Imprenditore (Nuova Pansac, produzione pellicole plastiche). Ex padrone del Mantova (calcio, fino al fallimento del 2010) • «[...] Capelli mesciati lunghi, abbronzato, molti scatti lo ritraggono con sguardo tenebroso. Più da Raz Degan che da imprenditore. E poi il garage pieno di Bugatti, Ferrari gialle e Lamborghini. Gli atterraggi e le partenze in elicottero in mezzo a pochi metri dall’area di rigore, le battute un po’ da spaccone: “Prima di entrare nel calcio ho chiesto consigli ad Abramovich”. Il presidente che siede a fianco al mister ma non “interferisco con il suo lavoro”. E ancora, le segretarie: sedici figliole, molto efficienti, ma conosciute più per la loro bellezza tanto da meritarsi il catodico nome de plume di “Lorine”. Basta e avanza per essere invitato [...] alla Domenica Sportiva alla destra della Seredova e alle Markette di Piero Chiambretti, dove tutto fa brodo. [...] il settimanale Business Week ha incoronato la Nuova Pansac “azienda italiana con il maggior tasso di crescita”, sedicesima in tutta Europa, Fabrizio Lori, laurea e master in business administration a Los Angeles, ammette, un po’ dispiaciuto ma molto sincero: “Effettivamente come imprenditore non mi conosce nessuno, eppure mi alzo alle sei di mattina e passo 15 ore al giorno in azienda”. Nell’Italia che non cresce, che non innova, che cerca di difendersi improvvisando dallo spettro cinese, la Nuova Pansac merita più attenzione. Settore materiali plastici, centro operativo a Mantova, cinque stabilimenti, tutti in Italia, sede commerciale a Milano, uffici di rappresentanza a Parigi, 2000 dipendenti, 1400 posti di lavoro creati tra il 2001 e il 2004, un fatturato che quest’anno punta ai 300 milioni di euro, il 20 per cento in più rispetto all’ultimo bilancio. La sua storia da imprenditore è più da Libro Cuore dell’industria che da copertina patinata. “A 24 anni è mancato mio padre e mi sono trovato di colpo a dover mandare avanti l’azienda”. Tra Porsche, spiagge californiane e weekend a Montecarlo, si poteva cedere e incassare. “Invece, senza fare passi più lunghi della gamba, ho cominciato a capire cosa si doveva fare fino alla svolta del 1999. O cambiavamo e venivamo travolti”. Papà Lori produceva sacchetti per i supermercati, per l’imballo e per conservare i preziosi formaggi della Bassa Padana. “Ho cominciato a investire forte in ricerca e in personale”. Il grande salto dai sacchetti per la spazzattura alle multinazionali. Il risultato, una nuova plastica assorbente. “Fa passare l’aria ma non l’acqua. Ha grandi impieghi nel settore igienico sanitario. Abbiamo brevettato prodotto e macchinari”. “Special Films”, come è scritto sul sito aziendale. Fuori dal linguaggio tecnico, una speciale pellicola acquistata a chilometri dalle corporation per impermeabilizzare assorbenti e pannolini. Tra i clienti Kimberly Clark e Procter&Gamble, quella della Lines. Ancora una volta l’apparenza inganna. A guardare Fabrizio Lori, imprenditore già pluridecorato, ci si aspetterebbe un giovane rampante, ottimista fino all’azzardo con la verità in mano che quasi quasi si propone come un guru. E invece dietro il successo ci sono soprattutto due piedi ben piantati sulla terra mantovana: “Con gli ultimi investimenti per un po’ di tempo possiamo andare avanti. Poi si vedrà. La Cina sta diventando davvero pericolosa non per l’Italia ma per l’Europa. Ora non copiano più, sanno anche innovare e dove non riescono comprano, perché l’innovazione si può anche comprare”. E se il tanto decantato Nord Est ha fatto grandi armi e grandi bagagli per aprire stabilimenti nell’Est Europa e in Estremo Oriente, dove il lavoro non costa, quasi, nulla, Lori non ha nessuna intenzione di delocalizzare: “È un boomerang per chi punta ad un transitorio effetto sui costi della manodopera. Io penso soprattutto a valore aggiunto dei miei operai che non posso trovare da nessun altra parte”. Il buon imprenditore che è in lui gli fa anche dire e ripetere fino all’ossesso che pensa soprattutto “alle famiglie dei suoi dipendenti” e che “per capire i problemi dell’azienda preferisco un lungo giro nei reparti delle fabbriche a tante riunioni con i direttori”. Certo in Italia, “ma sarebbe meglio dire in Europa”, ci sarebbero tante cose da cambiare. E la figurina dell’imprenditore buono e dalla parte degli operai sbiadisce un po’: “Prima di tutto bisognerebbe lavorare di più. Non guardiamo alla Cina ma agli Stati Uniti. Laggiù lavorano 40 ore alla settimana, noi se va bene 34. Fanno 2 settimane di ferie all’anno. Innovare non basta. La differenza, lo dico fino alla nausea, è tutta qui. Se potessi far lavorare i miei dipendenti 40 ore alla settimana, avrei bisogno di 500 lavoratori in meno e sarei ancora più competitivo”. Per puntare alla cima della classifica, come il suo Mantova» (Federico Monga, “La Stampa” 20/10/2005).