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 2005  ottobre 18 Martedì calendario

Gli intoccabili. La Stampa 18/10/2005. Non sta piacendo a nessuno, La tigre e la neve, ma non si può dire

Gli intoccabili. La Stampa 18/10/2005. Non sta piacendo a nessuno, La tigre e la neve, ma non si può dire. Non in maniera così diretta, almeno. Bisogna trovare un giro di parole, irrealmente candido, un po’ come quando nelle pagelle dei calciatori si legge che «Vieri ha svolto un lavoro oscuro», il modo più indolore di rifilare un «4». Nel caso dell’ultimo film di Roberto Benigni, la sindrome sembra quella della Corazzata Potëmkin. Nel senso di (semi)«boiata pazzesca», che deve piacere a tutti i costi, secondo un conformismo di sinistra che suole sospendere il giudizio critico di fronte a determinati e selezionati autori. Nel caso di Fantozzi, il film di Sergej M. Ejzenstejn doveva piacere per motivi ideologico-aziendali. Di fronte a Benigni, fatta salva l’identità ideologica, a risultare decisivo è l’affetto di fondo, sterminato, che rende difficile qualsiasi stroncatura nei suoi confronti. Per questo, chi si trova a parlare di La tigre e la neve, si sforza eroicamente di evidenziarne i rari guizzi: il monologo di fronte al Farmacista, il sogno felliniano con Tom Waits, il Padre Nostro con lo scacciamosche. Le critiche? Timide, morbide. Benigni appartiene, non senza meriti, alla vasta categoria degli «intoccabili a sinistra». Affermare che La tigre e la neve è un film modesto, inversamente proporzionale al genio del suo autore, non dovrebbe costituire eresia, quanto piuttosto la formulazione di una realtà inconfutabile. E invece no. Non si può dire, non conviene, non è politicamente corretto. Chi osa esprimere circostanziate perplessità, slitta automaticamente a destra. I BUONI E I CATTIVI La lista degli intoccabili italiani è lunga. Due recenti casi cinematografici sono Gabriele Muccino e Paolo Virzì. Il primo è il cantore di tutti: degli adolescenti (Come te nessuno mai), dei trentenni (L’ultimo bacio), dei quarantenni (Ricordati di me). Dei nonni, dei trisavoli, delle consuocere. Il suo verbo è il «muccinismo», microcosmo patinato-veltroniano dove le donne sono tutte nevrotiche, gli uomini tutti fragili e i fratelli hanno tutti la zeta sdrucciola. Anche Virzì con Caterina va in città si guadagnò il plauso incondizionato, non perché il film era bello, ma perché era didascalico: i buoni siamo noi (la sinistra), i cattivi sono loro (la destra). Personaggi modellati con l’accetta, cameo di Maurizio Costanzo, Claudio Amendola (altro intoccabile) che interpreta un simil Gianfranco Fini. Un’orgia di stereotipi. Intoccabile, con motivo, è anche Nanni Moretti. Regista di straordinario talento e straordinari spigoli, del quale sappiamo già che Il caimano sarà bello e ci «dovrà» piacere (altrimenti siamo berlusconiani). Meno evidenti sono i meriti di Margherita Buy, che da tredici anni a questa parte (cioè da Maledetto il giorno che t’ho incontrato) interpreta sempre la solita donna abbandonata e sotto farmaci, eppure nessuna sembra poliedrica come lei. In letteratura un caso di manifesta intoccabilità (a sinistra, la destra lo odia) è Alessandro Baricco. A molti è stato immediatamente antipatico perché troppo cool: bello, bravo, figo. E vendeva pure. Negare il valore di Castelli di rabbia, Oceano mare, Seta e Novecento sarebbe quantomeno discutibile, ma in pochi hanno sottolineato il cedimento artistico dei più recenti City e Senza sangue, giusto titolo per un’opera esangue, tanto bella formalmente quanto emotivamente anemica. All’artista intoccabile tutto è concesso. Non sbaglia mai. Di fronte a lui si sospende l’esercizio critico, si diventa più o meno deliberatamente tifosi. L’intoccabile è tale per meriti passati, onesta militanza, buoni uffici stampa. Oppure perché è «meno peggio». così per i comici televisivi: meglio Zelig che il Bagaglino, e allora si elogia tutto ciò che è Zelig, anche se Sconsolata non è che la risposta femminile a Martufello, e Leonardo Manera la variante depressa di Pippo Franco. Non è poi concesso non santificare Fabio Fazio e la scuderia Dandini, né fare distinguo su Sabina Guzzanti. Affermando, ad esempio, che Viva Zapatero! è molto più risolto artisticamente di quanto non lo fosse la prima puntata di Raiot. O che, come esempio di comicità dura e pura, convincono maggiormente Beppe Grillo e Daniele Luttazzi.  però nella musica che si concentra il numero massimo di intoccabili. C’è un motivo: con la Francia, l’Italia è (stato) il paese dei grandi cantautori. Spesso straordinari, come Fabrizio De André e Giorgio Gaber. Troppo «anomalo», quest’ultimo, per piacere sempre, se è vero che Luca Canali sull’Unità (7 gennaio 1998) lo definì «il menestrello dei dittatori». Purtroppo gli anni passano per tutti. L’afasia creativa, oggi, è palese in quei cantautori che hanno avuto una fase aurea tanto mitica quanto breve (Venditti, Vecchioni). Artisti che faticano a indovinare un disco da vent’anni, ma non si può dire. Come non si dice che il dylaniano Pezzi, l’ultimo cd di Francesco De Gregori, è danneggiato dalla pedante reiterazione degli aspetti più deleteri della carriera - e della voce - di Bob Dylan. NESSUNA STRONCATURA Altra intoccabile è Fiorella Mannoia, la Margherita Buy della canzone italiana, che spesso ha la recensione nel cognome. Guai, però, a sostenerlo, magari argomentando che le canzoni di Fossati forse sa cantarle, quelle di Paolo Conte sicuramente no. Curioso è il caso di Morgan, l’ex leader dei Bluvertigo. Fino a qualche anno fa si vantava di essere uno dei pochi ad avere il coraggio di affermare che alcuni dischi di De André erano sopravvalutati, in particolare quelli a cavallo tra Settanta e Ottanta (Rimini, L’Indiano). Giovedì prossimo, però, Morgan riceverà la Targa Tenco 2005 proprio per la cover (fedelissima) di un disco del 1971 di De André, Non al denaro non all’amore né al cielo, ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Morgan rappresenta il contrappasso: da fustigatore degli intoccabili a intoccabile. Con molti meno meriti dell’originale, peraltro. Recensendo un album debole di Guccini, Stanze di vita quotidiana, il critico Riccardo Bertoncelli non si esentò dal demolirlo rumorosamente. Era il 1974, il cantautore non la prese bene e citò il «nemico» nell’Avvelenata («un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate»). Trent’anni dopo, Guccini ha inciso Ritratti. Il suo ultimo disco in studio, e il più brutto, all’interno di una produzione solitamente più che ispirata. Nulla di male: tutti sbagliano, anche i più grandi. Stavolta, però, nessuna stroncatura. Nessuno che si avvelena. Soltanto un’altra opera intoccabile, che probabilmente non è piaciuta neanche a Guccini. Andrea Scanzi