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 2005  ottobre 16 Domenica calendario

Leggende e scarsa informazione. La Stampa 16/10/2005. Asti. Pollo arrosto andata e ritorno. E’ una storia dolente quella del pollo comunque già allevato, già ucciso e già ripulito e ripudiato per un allarme che tutti dicono eccessivo ma che, emotivamente, respinge il compratore e spedisce in pattumiera (o riciclato in altro modo) il pollo stesso

Leggende e scarsa informazione. La Stampa 16/10/2005. Asti. Pollo arrosto andata e ritorno. E’ una storia dolente quella del pollo comunque già allevato, già ucciso e già ripulito e ripudiato per un allarme che tutti dicono eccessivo ma che, emotivamente, respinge il compratore e spedisce in pattumiera (o riciclato in altro modo) il pollo stesso. Allevatori, macellatori, grossisti, negozi, rosticcerie, ristoranti. Dalla grande industria al dettaglio tutti confermano: 40% in meno di vendite, per essere ottimisti, anche se i dati ufficiali parlano ancora del 20. Inseguiamo il pollo lungo la sua strada. A Cocconato, provincia di Asti, c’è la Cisa, il più grande centro italiano per l’incubazione. Si prendono le uova, si fanno i controlli, si sforna la bellezza di 30 milioni di pulcini l’anno, cioè circa 82 mila al giorno, destinati agli allevatori che ne faranno produttrici di uova o piatti per la tavola. Michele Marchisio, veterinario all’Asl 19, che dirige le ispezioni qui, mangia carne bianca senza problemi: «Noi siamo super partes, non garantiamo, facciamo di più, cerchiamo il pericolo. E sul prodotto italiano non c’è». Eppure da una settimana arrivano disdette di contratti. La reazione del cittadino risale come un fiume tutta la catena. Dal centro i pulcini passano all’allevatore: «Io allevo per produrre uova - dice Renato Varesio - e poi, quando la gallina ha finito la sua carriera la consegno al macello. Tutti capi supercontrollati». Ma lei non si fa attrarre dall’acquisto di animali dall’Est, magari per il prezzo? «Lei si rende conto che un solo esemplare sbagliato mi fa chiudere l’azienda? E’ vero che qualche dettagliante ha importato bestia e uova. Ora non più, troppi controlli. E’ come importare cocaina». Il problema è che oggi questi allevatori hanno i capannoni (roba da 10 mila, 20 mila esemplari) saturi, con il pollame che invecchia, perché dal piatto il pollo defunto torna indietro. Dopo la macellazione, il grossista. Incomincia la distribuzione. Supermercato Famila: «C’è più prudenza, molti chiedono l’etichettatura e noi per fortuna l’abbiamo. Ma la gente è diffidente comunque». Alla Coop senti gli annunci all’altoparlante: «Vi garantiamo che i nostri prodotti sono soggetti a controlli, è certa la provenienza». Spiegano: «Sta succedendo come per mucca pazza. Passerà? Certo, ma il calo è sensibile, nonostante sia sempre scritta la provenienza». All’Eurospin fanno notare un assurdo: «Hanno rinunciato al petto di pollo», dicono i titolari Bruno e Francesco Marachino, «però comprano i preparati precotti, le polpette di pollo con spinaci per i bambini. E dire che abbiamo tutto etichettato. Poi, con le nuove norme, da lunedì non risali solo all’allevatore, addirittura alla bestia. E’ assurdo, soprattutto se pensiamo che abbiamo una produzione sopra la richiesta, che a lungo ci ha fatto esportare». Macelleria della catena DixDi: «Un calo del 40%, benché tutto provenga dalla zona e sia esaminato». E il dettaglio? «Ma quale caduta del 40%», dice il macellaio Lorenzo Borio, «la caduta da me, che prendo soltanto carne bianca certa, da allevatori locali, quelli con duecento bestie, è stata del 99%. E i dottori dicono agli anziani di mangiare carne bianca. Che cosa hanno mangiato nei giorni scorsi?». Risponde la signora Maria, 80 anni lei e 86 il consorte: «Poco o niente, ormai si ha paura di tutto. E poi ti metti a tavola e la tv ti fa vedere i polli morti. Quel che avevamo in casa mio marito l’ha dato ai gatti». Che compra ora? «Salame, mortadella. Finché non diranno che sono pericolosi». Lo sconcerto anticamera della paura, la paura anticamera della psicosi collettiva. Anna Cotto è proprietaria dal ’92 di un negozio in centro con il nome chiarissimo: «Al pollo arrosto». Dice: «Il pollo è il 40% della nostra attività. Il calo è stato del 40%. Se lavorassi soltanto su quello potrei chiudere e andare in ferie. I clienti sanno da dove arrivano gli animali, ma c’è una paura generale». Potreste voi commercianti comprare all’estero, per risparmiare. «Vendo sette o otto casse la settimana, le pare davvero che mi convenga un giro così complesso?». E i ristoranti? Piera Viarengo, agriturismo Fiordaliso ad Azzano d’Asti, i polli li alleva, non li compra. Il pollo è uno dei piatti fissi in menu: «Ho una clientela abbastanza fissa, sanno, si fidano, ma come minimo la battuta arriva: dove li hai presi? Il cliente nuovo chiede, si informa, ma è la tua parola contro un timore e allora domandano un’alternativa». Gianni Filippone, direttore del servizio veterinario dell’Asl di Asti, commenta: «Sulla produzione locale c’è un tale controllo che mi fa dire che non ci sono problemi. Noi censiamo gli allevatori che superano i duecento capi, anche i privati. Non è possibile l’importazione di animali vivi. E che interesse c’è a mettere un soggetto a rischio fra gli altri? Per distruggere l’allevamento? Il pericolo non esiste. Controlliamo anche le fiere di paese». Filippone ricorda la «tracciabilità» che ti fa risalire all’animale. Ma la scienza, il rigore devono fare i conti con un panico sotterraneo, silenzioso. Marco Neirotti