Varie, 19 ottobre 2005
MURA
MURA Gianni Milano 9 ottobre 1945. Giornalista. Di ”Repubblica”. Ha cominciato a ”La Gazzetta dello Sport”, poi ”Corriere d’Informazione”, ”Epoca”, ”l’Occhio” • «[...] parole spese bene a coniugare grimpeurs e rossi invecchiati in barrique, storie di uomini che pedalano per vincere e storie di uomini che pedalano per non perdere (quelli gli piacciono di più), pallonari miliardari e tramonti bagasci, canzoni, dolci dolori. [...] ”Mi interessa essere chiaro, negli articoli uso un linguaggio comprensibile, da parla come mangi. Ho un’allergia violentissima verso gli anglicismi. Io voglio trasmettere emozioni: se sono sul Tourmalet e tu sei a casa a Bologna, devo farti arrivare qualcosa oltre al fatto che il primo è bravo e il secondo è un pirla, cosa peraltro che non credo”. Questo gli piace al Gianni di Antonino Mura, carabiniere sardo di stanza a Roma che per potersi godere Meazza chiese il trasferimento a Milano e un giorno sul treno, mentre se ne stava ammanettato a un detenuto in trasferimento ad Alessandria, guardò Germana e se la sposò. [...] la barba e la faccia di Gianni, con quel solco nella fronte che sembra la gola di una valle delle Alpi Marittime, Ms a piovere, scrivania da eterno fuori corso, troiai di giornali [...] ”All’esame di professionista, faccio un gran scritto, ottimo. Era l’ottobre del 66. Ma mi segano all’orale: ”non le sembra di essere troppo giovane per diventare giornalista?’. A quei tempi agli esami si presentava gente come Moravia e io ero fresco di liceo, avevo 21 anni. Sono passato alla sessione successiva: per tantissimi anni ho detenuto il record di gioventù tra i professionisti [...] Al liceo andavo forte in italiano, ero in classe con la figlia del direttore amministrativo della Gazzetta. Dopo la maturità mi manda un bigliettino: guarda che stanno cercando un paio di ragazzi, presentati in via Galilei. Fino ad allora avevo scritto sul giornale del liceo, recensivo film assurdi, quelli con diciotto spettatori in platea, come sport vedevo l’Inter e basta, ero grassoccio, all’oratorio giocavo solo se portavo il pallone. Per cui mi vedevo a stendere un elzeviro da terza pagina sul ”Corriere’, mica alla Gazza. Va be’ va, mi son detto, sto un po’ lì, imparo l’arte. E ci ho passato otto anni. Mi danno da intervistare Germano, il moretto pippa del Milan. Vado a Milanello e tiro giù il pezzo. Mica era un’intervista, ma un tema: intervista a Germano; svolgimento etcetera. Mi ero messo in testa di farlo come Brera e alla fine ero soddisfatto. Consegno all’Amelia, la segretaria di Zanetti. Direttore, le è piaciuto? Svolgimento: ”Il tuo articolo puoi arrotolarlo e ficcartelo nel. Lo sai che ci leggono anche i muratori? Con la tua weltanschauung ci fanno il cappello’. [...] Per fortuna le domande erano buone e il pezzo uscì. Il secondo l’ho fatto sulla morte di Strulli, giocava da portiere nel Del Duca Ascoli, si sfasciò la testa uscendo su Caposciutti. Ma stavo anche alla macchina, cioè a passare i pezzi, correggerli. Montagne di fuorisacco spediti dai corrispondenti, la D, la C, le classifiche. C’erano ventitré professionisti in ”Gazzetta’, io divento il ventiquattresimo. Intanto mi iscrivo all’Università Statale, alla fine avrò dato 4 o 5 esami, uno con Cesare Musatti sull’interpretazione dei sogni e Freud, un altro sulla letteratura norvegese. [...] Che storia quella dell’esame. Mi bocciano all’orale e io mi dimetto. Vado in ”Gazzetta’ alle sei e mezza del mattino e lascio la lettera di dimissioni sulla scrivania del direttore. Per due giorni non ho saputo niente, poi mi chiama l’Amelia: ”non puoi andartene così, devi firmare delle pratiche’. Arrivo, c’è tutta la redazione schierata, un tavolo con champagne, olive, tartine, Zanetti in giacca-cravatta blu che fa: ”Siamo qui riuniti per festeggiare la bocciatura di Mura. il segnale che può diventare un buon giornalista’. Seguivo tutto il ciclismo, dalla Ronde di Aix en Provence a febbraio al Trofeo Baracchi il 4 novembre, quattro chiusure su sette in tipografia e guadagnavo dei bei soldini. I miei ex compagni di liceo occupavano l’università, scopavano nelle Comuni e io intervsitavo Merckx e Gimondi. In compenso pagavo un sacco di pizze: loro avevano gli ideali, io i soldi. Avevo il complesso di colpa. Novembre 72. Oriani del ”Corriere di Informazione’, il pomeridiano del ”Corriere’, vuole provarmi nella cronaca rosa e di costume. Ci vado. Contrordine. A dicembre arriva Gino Palumbo: ”Tu a fare il costume? un lusso che non posso permettermi’. E mi infila in una trappola birmana, quella con i tronchi appuntiti sul fondo e le pareti lisce. Mi ero sposato quell’anno, la sera tiravo le due, le tre ma coi tempi di lavoro che avevo alle sette di mattina ero già su a intervistare Herrera. Lì ho scritto di tutto, mondiali di sci con Thoeni e la valanga azzurra compresi, tutto tranne cavalli e motori [...] rimpiangevo la ”Gazzetta’ e mi telefona Silvio Bertoldi di ”Epoca’: bello il tuo pezzo sulla dolce vita, sarai il nostro goldoncino [...] Intanto collaboravo con ”Repubblica’. Era il 76. Mi son fatto le Olimpiadi di Montreal: una pagina al giorno gli mandavo, tanto per gradire. [...] A ”Epoca’ il pezzo più breve era di sette cartelle. Ho fatto Miss Italia, ho intervistato Soldati, la Melato, ho messo giù un’inchiesta sulla droga a Milano. Un articolo a settimana, lo potevi preparare bene, con l’archivio, le ricerche per benino [...] Me la godevo a ”Epoca’ ma le vendite lasciavano a desiderare, così faccio girare la voce che sono disponibile. Mi chiama Maurizio Costanzo all’’Occhio’. Inviato allo Sport [...] Divento caporedattore sport e spettacoli e mi dico: ”non posso stare qui tutto il giorno a correggere i pezzi dei coglioni che assumono’. Girava in redazione uno psicologo tedesco, tal Schuck e ci spiegava i segreti della ”Bild’, le tre ”s’: sesso, soldi e salute, Un clima così. Il 14 luglio dell’81 mi sono dimesso. Sull’’Occhio’ era appena uscito un titolo tipo: ”Dramma di Gino Paoli/Il padre è morto e anche la moglie è malata’ e mi ero indignato. Dimissioni in tronco, non potevo restarci un giorno di più [...] Collaboravo qui e là. Ho seguito per ”Repubblica’ i mondiali dell’82, c’era Sconcerti capo dello Sport, e nel febbraio dell’anno dopo mi hanno assunto come inviato [...] Ho delle stelle polari. Zanetti, Raschi, Bertoldi, Beppe Viola, Brera [...] non per cosa diceva ma per come lo diceva [...] Di Beppe Viola ho amato più che il modo in cui raccontava lo sport, il modo in cui lo viveva: ad altezza d’uomo [...] Mi piace il Simenon di Maigret per le piccole osservazioni, poi Buzzati, che faceva anche il giornalista: me lo sono trovato di fianco al Vigorelli per il record dell’ora di Anquetil [...] mi sento giornalista come intendo io solo al Tour [...] Non tratto una finale dei mondiali come l’avvenimento della vita, bastano e avanzano già quelli che gonfiano da pazzi un’amichevole [...]”» (Andrea Aloi, ”Guerin Sportivo” 29/9/1999).