15 ottobre 2005
DE SOTO
Hernando. Nato ad Arequipa (Peru) il 2 giugno 1941. Economista. «[...] è riuscito a conquistare una schiera di ammiratori che più vari non si può. George Bush e Bill Clinton, Margaret Thatcher e Tony Blair. Milton Friedman e Inacio Da Silva detto Lula. Sinistra e capitale, global e no-global. [...] è uno da studiare [...] ”uno dei cinque innovatori più importanti del Ventesimo secolo” (’Time”). [...] Figlio di un diplomatico e di una casalinga, studi a Ginevra (l’ex Wto) e alla Swiss bank. Poi, nell’80, torna a casa, dove diventa capo della Banca centrale prima di fondare l’Instituto Libertad y Democracia (Ild). Oggi è ”una delle think thank più influenti del mondo” (’Economist”). Lo è diventato con una catena di studi sul campo, Paese per Paese, che gli hanno permesso di misurare ciò che tutti sanno senza accorgersene. La bruocrazia, per esempio [...] Da qui una serie di riforme proposte ai politici di casa [...] Certo, non è che il De Soto-pensiero sia immune da critiche. [...] Chiaro, quando leggi sul sito dell’Ild quelle frasi autopromozionali, tipo ”in certi contesti solo noi sappiamo come costruire un sistema di proprietà” e ”una struttura politica e legale”, ti viene da storcere ul naso [...] Però la domanda resta: e se ci riuscissero? [...] ”[...] che il mondo sia pronto o no, le cose succedono. Le metropoli si stanno giò riempiendo di gente che vive nelle favelas e cerca lavoro. Oliver Twist è arrivato in città. povero, ma ha la tv. Vede come vivono i ricchi. E vuole la sua fetta di torta. Se non può guadagnarsela, è facile che diventi molto, ma molto cattivo. Dategli un modo per entrare nel sistema, oppure andrà a cercarsi qualcun altro”» (Davide Perillo, ”Sette” n. 4/2003). «[...] dopo il successo dei suoi El otro sendero (1987) e Il mistero del capitale (2000) [...] è [...] stabilmente assurto alla fama di grande guru degli studi sull’imprenditoria informale dei poveri del Terzo Mondo: l’Economist ha indicato il suo Istituto per la Libertà e la Democrazia tra i think tank più influenti del pianeta; Time lo ha messo tra i cinque maggiori innovatori dell’America Latina nel XX secolo; George Bush padre ha detto che ”la ricetta di De Soto offre una chiara e promettente alternativa alla stagnazione dell’economia”; Bill Clinton lo ha definito ”il più grande economista vivente”; presidenti e primi ministri se lo contendono come consulente. Lui, come prima cosa ringrazia coloro che lo definiscono professore, spiegando che non lo è: quasi a volersi identificare fino in fondo con quegli ”informali” oggetto dei suoi studi, che fanno gli imprenditori senza averne mai avuto il titolo. Poi, spiega che in realtà la sua ”influenza” non deve essere poi tanta, dal momento che le cose stanno andando per molti versi in modo opposto a quanto da lui auspicato. ”Nel mondo ci sono 6 miliardi di abitanti. Di questi un miliardo appartengono ai paesi sviluppati, e un altro miliardo a quell’élite dei paesi sottosviluppati di cui faccio parte anch’io, e che partecipa anch’essa dei benefici della globalizzazione. Ma gli altri 4 miliardi continuano a starne fuori, e ciò spiega perché quella stessa globalizzazione, pur con tutto quel che di positivo rappresenta, viene sempre più contestata. Non è vero che il Terzo Mondo non sta andando avanti. Le persone che vivevano con meno di un dollaro al giorno sono passate dal 55 per cento dell’umanità alla fine della Seconda guerra mondiale al 20 di oggi; nello stesso periodo l’aspettativa di vita in India è passata dai 27 ai 67 anni; e la mortalità infantile nel Terzo Mondo è oggi la stessa che c’era in Europa nel 1950. Ma dagli studi che ho fatto in Egitto per conto del presidente Mubarak, ad esempio, ho scoperto che il 92 per cento della proprietà della terra non corrisponde al registro legale, e neanche sta nei registri l’86 per cento delle imprese. Questa economia extralegale corrisponde a 248 miliardi di dollari: 55 volte tutto l’investimento privato che c’è stato in Egitto dai tempi di Napoleone, 40 volte i prestiti della Banca mondiale e 90 volte l’aiuto bilaterale all’Egitto. Per il Messico abbiamo fatto un lavoro analogo, e abbiamo visto che sono fuori dalla legge il 47 per cento di tutti i salariati messicani, e addirittura l’80 per cento se consideriamo anche il tempo parziale: 78 milioni di persone. Gli attivi extralegali rappresentano 11 milioni di edifici, 134 milioni di ettari e 6 milioni di imprese, per un valore di 315 milioni di dollari: 7 volte l’intera riserva petrolifera messicana. Ora, per importare o esportare bisogna avere un passaporto di importazione. Se l’attività che si fa è informale, non riconosciuta, non si possono avere questi documenti. Chi ha dunque la possibilità pratica di profittare della globalizzazione mettendo materialmente le proprie mercanzie sui container di un aereo o di una nave? Il 20-30 per cento dei latinoamericani, il 2 per cento degli africani”. [...]» (Maurizio Stefanini, ”Il Foglio” 18/11/2005).