varie, 15 ottobre 2005
SOLERI
SOLERI Paolo Torino 21 giugno 1919. Architetto • «Architetto, urbanista, filosofo di eccezionale originalità nel panorama della cultura architettonica internazionale del XX secolo [...] dopo aver realizzato la Fabbrica di Ceramica Artistica Solimene a Vietri sul Mare, in Costiera Amalfitana (1955) si è stabilito nel deserto dell’Arizona avviando i laboratori urbani di Cosanti (Phoenix) e Arcosanti (tra Phoenix e il Grand Canyon), sperimentando i principi di un’architettura in armonia con l’ambiente. Soleri ha anche elaborato teorie urbane di eccezionale attualità, come il concetto di ”Arcologia” (architettura ed ecologia). Interessante la sua produzione grafica che conta migliaia di pezzi di vario formato, molti dei quali eseguiti a mano libera su lunghi rotoli di carta da spolvero con effetti di grande impatto figurale. Nei suoi disegni, Soleri indaga e sviluppa il tema dell’habitat umano, tanto negli spazi planetari che in quelli interstellari» (’il manifesto” 14/10/2005) • «[...] Nato nel 1919 a Torino, laureato al suo Politecnico nel 1946, quello stesso anno Soleri si trasferì in America dove, a Taliesin, cominciò il suo apprendistato con Frank Lloyd Wright. Ritornò in Italia nel 1950, il tempo di un breve soggiorno a Torino per poi raggiungere Vietri sul Mare, dove, nel 1952, realizzò la sua unica opera italiana: la Fabbrica di ceramica artistica ”Solimene”. Tornato in America nel 1955, concentrò da allora tutta la sua attività in Arizona, nella Paradise Valley di Phoneix, lavorando alla fondazione di una scuola-laboratorio, Cosanti, e in seguito alla costruzione della sua città modello, Arcosanti. Dalla città storica alla periferia Non è casuale che l’interesse per Soleri trovi nella ”città eterna” la sua più visibile fortuna critica. Nel 2001, ricevette in Campidoglio il Premio Solare Europeo e fu Massimiliano Fuksas, architetto romano, a consegnargli nel 2000, in qualità di direttore della VII Biennale di Architettura, il Leone d’oro alla carriera. Tra gli anni ”70 e ”80 a Roma si concentrarono le più multiformi espressioni di quella che, sotto la definizione di ”scuola romana di architettura”, (Klotz, 1987) segnò una tra le fasi della stagione dell’’architettura disegnata”. Mentre i programmi di edilizia pubblica invadevano la campagna con smisurati quanto mediocri complessi residenziali, alla facoltà di architettura si ammiravano i disegni colorati del G.r.a.u. e alla Galleria Aam di Francesco Moschini quelli di Aldo Rossi o di Massimo Scolari. Si guardava alla città storica ma nel frattempo se ne costruiva una ”analoga” in periferia, somigliante a quella che già esisteva più per i volumi che per la bellezza. Tra le tante figure del moderno che in quegli anni vennero citate per comporre una probabile, quanto incoerente, genealogia in grado di sostenere quelle ”architetture di carta” mancava Soleri: troppo informale e antiaccademico per essere compreso da una generazione intenta a districarsi tra gli storicismi. A non comprendere Soleri non furono solo gli abitanti di Vietri, che a detta di Sandra Suatoni, curatrice dell’esposizione romana, erano ”troppo tradizionalisti” per apprezzare le sue invenzioni; era piuttosto il mondo universitario a ricambiare la sua indifferenza. indubbio, però, che Soleri non poteva restare a lungo trascurato. La sua esuberante produzione di disegni - dalle migliaia di fogli di schizzi ai rotoli di carta da spolvero alti anche cinquanta metri - non poteva rimanere confinata oltreoceano, lontana dagli interessi di un ente ministeriale come il Darc (Direzione generale per l’architettura e le arti contemporanee) che sulla acquisizione (o perdita) di significativi archivi fonda parte della propria «missione» istituzionale. [...] Le architetture di Soleri sono ”impervie ma edificabili” - come ha scritto Corrado Gavinelli, che è tra i suoi maggiori studiosi - e la sua utopia è un’’ipotesi di sviluppo possibile e concretamente applicabile”. Da questo punto di vista le rappresentazioni di Soleri non sono le ”nuove forme” prodotte dall’applicazione delle tecnologie digitali, né la sua ”complessità” riguarda l’attuale città delle reti e della mutevole dispersione metropolitana. La pubblicazione da parte di Jaca Book [...] degli scritti di Soleri - copiosi quanto i disegni - sotto il titolo Itinerario di architettura (2003) e dell’ampia monografia di Antonietta Iolanda Lima (Soleri architettura come ecologia umana, 2000) hanno chiarito anche da noi le differenze che rendono la ricerca dell’architetto italo-americano così originale da non poter essere accostata ai virtuali sperimentalismi contemporanei; piuttosto, consentono di inserirla nell’ambito delle teorie urbane del moderno, accanto alla Cité Industrielle di Garnier o quella Contemporaine di Le Corbusier, alla città lineare del costruttivismo russo o meglio al «grattacielo alto un miglio» del suo maestro Wright. Perché l’immaginazione di Soleri non si concreta nell’autoreferenzialità della forma ma si fonda e si alimenta, come in tutti i grandi maestri, di profonde considerazioni etiche e filosofiche. Pertanto, la costruzione dello spazio architettonico si dà come ”l’ineffabile emergere dalle incrostazioni dello spirito”. Quando nel 1949 Soleri lasciò la scuola wrightiana di Taliesin per fondare il suo ”laboratorio urbano” di Cosanti fu come se avesse dato il cambio al suo maestro o ne avesse continuato l’azione. Anche Soleri, come Wright, scelse un’area desolata dell’Arizona per promuovere, insieme ai suoi allievi, un percorso praticabile e alternativo agli ”anacronismi” della città tardo-industriale. Consapevole dell’inefficienza, degli sprechi, della ”iniquità e incongruenza” della metropoli iper-capitalista statunitense, Soleri si preparò a inaugurare una nuova disciplina per la costruzione dello spazio urbano: l’’Arcologia”, somma di architettura e ecologia, che avrebbe riscattato una volta per sempre la condizione dell’uomo, configurando la città a sua immagine. I primi passi dell’’Arcologia” sono nell’idea di Mesa City (1960) [...] La morfologia di questo insediamento segue i principi filosofici di Soleri che si riassumono nella triade: complessità, miniaturizzazione e durata. La Città di Mesa, con i suoi ”Villaggi a Terra” composti di torri a fungo, con ampi terrazzi e giardini pensili, è un organismo complesso, tecnologicamente avanzato e con funzioni interdipendenti, che non si mimetizza nel paesaggio ma instaura un confronto alla pari con la natura. In uno dei suoi sketchbooks Soleri scriverà: ”Dal momento che l’architettura diventa un fenomeno di ecologia umana, le città diventeranno ”organismi’ che riflettono nella loro complessità strutturale la complessità della vita che essi contengono e includono”. La tecnologia, che si è trasformata in biotecnica, contribuisce a creare la ”nuova natura” degli ”organismi” urbani che saranno compatti e non dispersi, verticali e densi, miniaturizzati perché la ”compressione produce espansione”, come accade nella scatola cranica dove la compressione del cervello genera la ”sconfinata espansione della mente”. L’obiettivo è di non disperdere nel territorio masse di edilizia amorfe e di ”fuggire dalla piattezza”, dall’alienazione delle periferie e dal caos delle megalopoli, per concentrare tutte le energie nei flussi verticali del traffico e nei percorsi radiali che minimizzano le distanze, quindi, riducono gli sprechi. Nelle profetiche affermazioni di Soleri c’è tutta la critica alla perdita di identità conseguita con le teorie e le pratiche dell’urbanizzazione condotta secondo i principi riduzionistici e funzionalisti del Movimento Moderno, che la cultura europea del dopoguerra non ha saputo superare: mostrando così la sua totale indifferenza verso la forma fisica della città, verso il suo significato simbolico e sociale, i cui segni di fallimento si ritrovano anche nelle rivolte di questi giorni nelle banlieues parigine. All’opposto di quanto accadeva in Europa tra gli anni `60 e `80 - tra le radicali proposte degli Archigram e i pastiches vernacolari dei fratelli Krier - le riflessioni di Soleri d’oltreoceano hanno generato una quantità di invenzioni tipologiche, che come ”semi” potranno germinare ovunque non temendo la contingenza ed essendo predisposti per la lunga durata. [...] Dal 1968, Soleri mise in pratica, nel Canyon di Agua Fria, autofinanziandosi e con l’aiuto di volontari, i suoi concetti architettonici, consapevole del fatto che solo nella pratica del costruire assume significato la teoria. I principi che governano la crescita artificiale di Arcosanti suggeriscono che ogni parte del progetto interagisca con la natura stratificandosi, limitandosi nell’occupazione del suolo, ”miniaturizzandosi” nel paesaggio, secondo la regola per cui qualsiasi funzione segue - al contrario dell’assioma modernista - la forma. Ad Arcosanti si applica l’’economia della sobrietà e della frugalità” verso una maggiore complessità dell’habitat dove le risorse della terra non vanno più sprecate. così che per Soleri si realizza l’’ultra-ambiente”, nel quale l’uomo ha debellato per sempre i conflitti e le diseguaglianze prodotte dall’irrazionalità della crescita e dell’obsolescenza urbana. Ad Arcosanti, con l’applicazione della tecnologia e dell’estetica secondo una nuova sensibilità, tutto ciò si mostra possibile perché ”il valore dell’utopia si trova dove cessa di essere utopia perché è divenuta realtà”» (Maurizio Giufrè, ”il manifesto” 18/11/2005).