Varie, 15 ottobre 2005
COCCIOLONE
COCCIOLONE Maurizio L’Aquila 22 settembre 1960. Colonnello dell’aeronautica militare. Il 18 gennaio 1991 - nel corso dell’operazione Desert Storm per la liberazione del Kuwait dall’occupazione irachena - il Tornado sul quale era in missione insieme al maggiore Gianmarco Bellini fu abbattuto dalla contraerea irachena: iniziarono così 47 giorni di prigionia nelle mani delle forze armate di Saddam. Diventato colonnello, è stato nominato vicecomandante della Forward support base di Herat, dove l’Italia guida il Team di ricostruzione provinciale (’Corriere della Sera” 15/10/2005). «Maurizio, Maurizio... figlio mio.... Le urla della signora Gemma Cocciolone spezzano il silenzio che avvolge la piccola strada di periferia. Sono le 11 di una mattina piena di sole, ma la notizia, già da due ore, ha fatto il giro della città. Lo sanno tutti, dal sindaco al parroco. Un dramma che la famiglia Cocciolone vive nella sua solitudine, affranta dallo choc subito in diretta. Davanti alla porta di legno chiaro, gli occhi bassi, il viso tirato, le mani in tasca, Paolo Cocciolone, fratello del capitano dell’ Aeronautica scomparso con il suo Tornado tra le dune del deserto del Kuwait, scuote la testa. assurdo, assurdo. Noi speriamo ancora, forse si sono sganciati con il seggiolino, forse sono atterrati e non vogliono lanciare il segnale di ricerca... no, non voglio pensare che sia morto.... Sospira, si morde il labbro. Sbotta: Ma quello che mi fa più rabbia, che non sopporto è come abbiamo appreso la notizia. Dalla tv. Sì, è stata la televisione a dirci ciò che era successo. vergognoso. Neanche una telefonata dal ministero, dal governo. Niente. Nulla. Silenzio totale. [...] nessuno sa se il militare è vivo o morto. Non lo sa nessuno. Né il governo, né la Difesa, né gli ufficiali italiani di stanza nella base di Al Dhafra, nel Dubai. Il capitano Maurizio Cocciolone, 30 anni compiuti il 22 settembre scorso, navigatore sul Tornado in missione di guerra, è dato per disperso assieme al pilota, il maggiore Gianmarco Bellini. Sono le prime due vittime italiane del conflitto nel Golfo. Li stanno cercando gli elicotteri e i caccia alleati. Ma pochi sperano di trovarli. La notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa ieri mattina poco dopo le 4. La famiglia Cocciolone, come sempre, ha acceso la tv verso le 6 e ha iniziato ad ascoltare le ultime informazioni che giungevano dal Golfo. Per noi è stato uno choc, racconta ancora Paolo, l’unico dei parenti che ha ancora la forza di parlare. Parlavano della prima missione italiana, dicevano che i nostri soldati si dovevano considerare virtualmente in guerra e che quindi avrebbero potuto partecipare a delle azioni congiunte. Poi c’è stata la notizia del Tornado disperso.... Paolo Cocciolone resta qualche istante in silenzio. Ha gli occhi lucidi. Ha un gesto di stizza, volta lo sguardo verso il muro della casa. Basta, lasciateci stare. Non vogliamo dire più nulla. [...] Il padre del capitano disperso in Kuwait si chiama Guido. Lavora al Comune come tecnico. La madre, Gemma Rossi, lavora invece in ospedale. Come cuoca. Una famiglia molto unita, commenta la gente del quartiere, tutti legatissimi. In particolare a Maurizio. Il capitano Cocciolone viveva da 12 anni a San Damiano, dove ha sede il 50° stormo dell’ Aeronautica militare. Faceva parte del 155° gruppo. Per lui, ricorda il fratello Paolo, volare era una passione. Una vera mania. Sin da piccolo gli piaceva tutto ciò che volava. Era naturale che si arruolasse nell’Aeronautica. La decisione arriva a 18 anni. Quattro anni di istituto tecnico per geometri a L’Aquila, il diploma della maturità in tasca, l’attesa per un lavoro che non arriverà mai, la scelta di entrare nell’ arma azzurra. Maurizio Cocciolone punta subito sulla carriera da ufficiale. Il training è durissimo. Molta disciplina, tantissimi sacrifici. Lui era contento, spiega il fratello, ogni volta che tornava a casa in licenza ci parlava sempre del suo lavoro. Sì, sognava di diventare pilota. E alla fine ha realizzato il suo sogno. Il 23 settembre del 1979 entra nell’accademia aeronautica di Pozzuoli. Tre anni dopo conclude il corso Vulcano terzo e si specializza come navigatore. Quando scoppia la crisi per il Golfo e anche l’Italia decide di inviare dei Tornado per far rispettare l’embargo all’Iraq, Cocciolone parte assieme ai suoi colleghi. [...]» (Daniele Mastrogiacomo, ”la Repubblica” 19/1/1991). «Il giorno della liberazione per Gemma Cocciolone ha, molto banalmente, i colori della primavera. Lì, a sinistra della austera casa a due piani, c’è una montagna ritornata verde. In alto spicca l’azzurro del cielo, e insieme il giallo di un sole precocemente caldo. Che differenza, finalmente: quanto è lontana questa mite giornata da quella notte nera e maledetta, da quel freddo 18 gennaio quando la guerra le stava per rubare Maurizio. Ma ora gli occhi di Gemma stanno dimenticando in fretta l’avana del deserto e di quell’aereo semisommerso dalla sabbia, quell’incubo che, dice, l’ha perseguitata per quarantacinque lunghe notti. Cossiga l’ha appena chiamata. Come lei, anche il presidente ha visto la televisione: uno dopo l’altro i piloti prigionieri uscivano da un pulmino. Gli occhi, l’ho riconosciuto subito dagli occhi, sussurra adesso la signora. Non è mai venuta meno la speranza, dice Gemma Cocciolone: mai, nemmeno dopo quelle brutali immagini alla televisione irachena, o se per giorni e giorni non riusciva ad avere notizie, oppure quando le ore trascorrevano lente consumando il rosario. Ma ora questa donna coraggiosa può finalmente ammettere con se stessa e con gli altri della famiglia che quelli passati sono stati giorni bui, terribili. Un ricordo l’ha martellata: Durante la guerra, mio fratello fu fatto prigioniero. Da quando hanno preso Maurizio, mi sono tornati spesso alla mente quei giorni. Quando mia madre aspettava ogni mattina sull’uscio di casa l’arrivo del postino, con la speranza che arrivasse una lettera, una notizia. E la lettera, una lettera elettronica, è arrivata sotto forma di flash del telegiornale. Un giornalista di Telemontecarlo l’ha chiamata al telefono. Abbiamo appena trasmesso le immagini di Maurizio: è libero. Libero: Gemma sente che la gioia è troppo grande perché possa piangere o urlare di gioia. La mente corre già al momento in cui rivedrà il figlio. Che cosa gli dirà? Gli occhi brillano: Forse non gli dirò niente. Sì, lo abbraccerà soltanto. Lo terrò stretto stretto, e..., ma non finisce la frase: la mamma del pilota è come in stato di estasi. [...]» (Carlo Chianura, ”la Repubblica” 5/3/1991). «Maurizio appare, in una fila di uomini vestiti con una lunare tuta gialla, quando sembrava ormai inutile aspettarlo. il terz’ultimo della fila, si muove con andatura un po’ caracollante, è più piccolo di quanto si potesse immaginare dalle foto. Pochi passi davanti a lui brillano i capelli ramati di Melissa, la prima soldatessa prigioniera di questa guerra. appena passato, con il braccio legato al collo, l’aviatore inglese Peter il cui volto è oggi meno pesto di quello che è apparso al mondo poche settimane fa. Nel cortile del modestissimo albergo Novotel, che per mesi ha ospitato centinaia di ostaggi, passano in silenzio, in ordine perfetto, con l’abitudine propria dei militari a tener la fila, a testa alta e occhi fissi in avanti, senza gioia ma anche senza pena. Maurizio Cocciolone ha il viso sbarbato e serio, un occhio un po’ più ammaccato dell’ altro. Dieci prigionieri, i cui volti tumefatti, arrossati, sono rimasti nella mente di tutto l’Occidente, sono stati rilasciati ieri. Sei americani, tre inglesi, un italiano. [...]» (Lucia Annunziata, ”la Repubblica” 5/3/1991).