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 2005  ottobre 09 Domenica calendario

L´Italia piccola piccola delle sartine. La Repubblica 09/10/2005. Per dire che una donna non valeva granché si diceva: non sa tenere l´ago in mano

L´Italia piccola piccola delle sartine. La Repubblica 09/10/2005. Per dire che una donna non valeva granché si diceva: non sa tenere l´ago in mano. Oggi sono moltissime le donne che «non valgono», secondo questo metro di giudizio che vorrebbe signore e signorine di ogni età «all´opre femminili intente». Quello delle sartine è un universo che appare tramontato per sempre, fotogramma di un´Italia in bianco e nero, povera ma non necessariamente bella. Sartina: già il diminutivo la dice lunga. uno di quei diminutivi che non comportano tanto tenerezza o affetto o nostalgia, quanto piccolezza. Piccolezza di confini, claustrofobia di orizzonti limitati, stanze che odorano di chiuso. L´Enciclopedia della Moda lo spiega con chiarezza: mentre le sarte avevano uno status riconosciuto e lavoravano in un vero atelier, le sartine - modeste, umili, alla mano, economiche - dispiegavano la loro industriosissima attività dentro casa, arrangiandosi spesso in cucina, o nel tinello, o nella camera da letto matrimoniale. Tutto ruotava attorno alla macchina da cucire, prima a manovella, poi a pedale, lustra e ben oleata, decorata con fregi e svolazzi. Era un totem casalingo, oggetto avanzato del progresso, simbolo di un´Italia attenta al risparmio, non ancora consumista, che rivoltava i cappotti e le giacche, un´Italia appena uscita dal mondo contadino e pronta a entrare in quello protoindustriale. Il mestiere di sartina - mai nessun mestiere è stato più in nero, senza protezione legislativa, senza limiti d´orario, senza potere contrattuale - era molto apprezzato poiché presentava caratteristiche che risultavano perfettamente compatibili con la funzione di moglie e madre e soprattutto di casalinga in cui le donne venivano confinate. Un lavoro da fare, magari fino a notte fonda, fra le quattro mura domestiche e che aiutava a quadrare il bilancio. Negli anni del fascismo quella della casalinga - all´epoca si diceva massaia - era una vocazione obbligata, meglio se madre di prole numerosa. E non c´era casalinga che non sapesse cucire, a mano o a macchina. Le bambine imparavano l´arte sin dall´asilo e venivano cresciute senza grilli per la testa. «La Patria si serve anche spazzando la propria casa», si legge nel decalogo della Piccola Italiana. Spazzando ma anche cucendo, rammendando, facendo orli, e nel tempo libero - come uno svago - ricamando. La sartina è per definizione dimessa, pallida, affaticata. Vive nell´ombra. Non rispecchia molto l´immagine stucchevole e frivola che ne dà una canzonetta d´epoca, Pippo non lo sa, anno 1940, di Kramer e Panzeri: «Ma Pippo Pippo non lo sa/ che quando passa ride tutta la città/ e le sartine/ dalle vetrine/ gli fan mille mossettine». Sandra Leschan, del Trio Lescano, ha raccontato: «Negli anni in cui si cantava "Se potessi avere mille lire al mese", noi guadagnavamo mille lire al giorno. Avevamo comprato un bellissimo appartamento a Torino, possedevamo una Balilla fuori serie a quattro porte, i nostri armadi erano pieni di vestiti». Stile di vita ben diverso per le provinciali sartine, obbligate a guardare al centesimo e a non concedersi non soltanto nessun capriccio, ma anche ben poca visibilità o «mossettine dalle vetrine». Il loro mestiere, tipicamente femminile, spesso era un destino. Le ragazze che potevano preferivano lavorare fuori casa. Negli anni del boom molte scelgono di andare in fabbrica a fare le operaie, le più fortunate trovano un impiego da commessa. Spesso fa la sartina chi è già, comunque, confinata dentro le mura domestiche: non soltanto la madre di famiglia ma, per esempio, la portinaia. Le signore più fortunate la sartina la facevano venire a casa, almeno due volte l´anno, a ogni cambio di stagione, per periodi piuttosto lunghi, anche per una settimana di seguito, anche per dieci giorni. Iolanda - o Elvira, o Antonietta - si fermava a pranzo e spesso anche a cena e parlava tantissimo, raccontava, commentava, essendo il taglia e cuci un lavoro che molto si concilia con l´affabulazione. Era amatissima dalla figlia della padrona di casa: di nascosto, a fine giornata, dopo aver rivoltato un paltò e trasformato un abito di Principe di Galles in una scamiciata, cuciva al volo un vestito per le bambole con un ritaglio di stoffa o uno scampolo luccicante. Siamo decisamente nell´epoca pre-Barbie. In quella settimana la sartina rimetteva a posto il guardaroba dell´intera famiglia e qualche volta si improvvisava anche tappezziere. Allungava le gonne, allargava i pantaloni, rammendava, rivoltava, «rammodernava». Lavoro faticoso anche se dal dispendio energetico contenuto: cucire a macchina col pedale fa bruciare 48 calorie ogni mezz´ora. Al di là delle piccole ma indispensabili riparazioni non tutte le sartine erano in grado di fare vestiti ex novo. Burda e Mani di fata erano la loro Bibbia, nell´Italia ormai scomparsa del cartamodello. Le signore che non potevano permettersi la sartina a domicilio ne avevano tuttavia una di fiducia, che andavano a visitare in quartieri non sempre vicini, in sottoscala, pianterreni, portierati angusti, dove la sarta passava ore e ore china sulla sua Singer a pedale, il metro a fettuccia giallo penzolante attorno al collo, le forbici appese a un lungo nastro alla cintola, sulla pettorina del grembiule un puntaspilli che sembrava un istrice, gli spilli stretti fra le labbra durante le prove. Per terra o nelle scatole aperte un gran groviglio di fettucce, cerniere lampo, rocchetti di filo, bottoni, automatici, spille da balia. Dalla porta socchiusa della cucina arrivavano sempre vapori e odori di cibi in ebollizione. Quante erano le sartine? Qualcuno ha azzardato il numero di 400mila, un numero che coincide perfettamente con quello delle "vedove bianche": tante erano, nel 1959, in pieno boom economico, le donne senza più notizie né sostegno economico da parte dei mariti emigrati. Alcune di loro, ma una minoranza davvero trascurabile, hanno fatto carriera, arrivando fino a Hollywood. Che cos´erano Zoe, Giovanna e Micol Fontana se non tre sartine che ebbero l´audacia di lasciare il loro paesino di Traversetolo, in provincia di Parma, per marciare su Roma? Certo non immaginavano neppure lontanamente che un giorno avrebbero abbigliato dive come Linda Christian, Ava Gardner, Audrey Hepburn imponendo nel mondo il primissimo Made in Italy e scalzando l´impero delle maison francesi. La sartina è anche un personaggio portante del cosiddetto neorealismo rosa, come nel film Le ragazze di piazza di Spagna, di Luciano Emmer, anno 1952, con Lucia Bosè e Marcello Matroianni. la storia intrecciata di tre sartine: una, Lucia Bosè, sogna di fare l´indossatrice ma rinuncia per sposare un semplice operaio; un´altra tenta il suicidio per amore ma ritrova la felicità accanto a un tassista; la terza, minuscola di statura, si innamora di un fantino. Ne esce un´Italia piccola piccola, storie quotidiane di gente comune e laboriosa. Anche in letteratura la sartina è spesso percepita come un personaggio innocente, di buon sentimenti, come ne La bella estate di Cesare Pavese, un romanzo che mette in scena lo scontro tra purezza e corruzione: è il storia di Ginia, una ragazza di 16 anni che lavora presso una sarta e si innamora di un pittore che non la ama, finendo per ammalarsi di sifilide. Le sartine hanno anche una loro santa protettrice, Santa Caterina, che cade il 25 novembre. In molti paesi quel giorno si celebrava la festa delle caterinette.  sicuramente l´ascesa della confezione in serie a decretare il tramonto delle sartine, diventate sempre più rare, o forse ancora più sommerse, come sempre più rari sono i negozi di mercerie e quelli che vendono foderami e stoffe a metraggio. La macchina per cucire - ce n´era una in ogni casa - esce onorevolmente di scena, o al massimo resta come oggetto di hobby, o icona di modernariato domestico. I modelli più avanzati, quelli di oggi, anzi di domani - sono avveniristici e hi-tech, e puntano a donne giovani che non hanno alcuna dimestichezza con i lavori tradizionali femminili ma ne hanno molta con il computer. Sono macchine interamente assistite dal pc e possono scaricare da Internet milioni di decori e di ricami personalizzati. La macchina per cucire, tuttavia, resta un emblema di efficienza, nitore, femminilità: non a caso Bree, la più impeccabile delle "desperate housewives", più che perfetta in ogni faccenda domestica, ne tiene una elettrica al centro della propria casa e della propria esistenza. Sparite (o mimetizzate) le sartine, resta il problema, se non dei vestiti fatti in casa copiando il cartamodello, delle piccole e inevitabili riparazioni. Sono affollatissime, specie in città, la catene di negozi, spesso in franchising, che fanno orli rapidi e sostituiscono cerniere lampo. Si legge nel sito della Caritas di Roma la storia di Franca, 38 anni e due figli, che lavora in nero per un laboratorio di riparazioni celeri e fa una trentina di orli al giorno: «Prendevo seicento lire a orlo e ora sono trenta centesimi, va bene. Ma il negozio al cliente faceva pagare il lavoro diecimila lire; e ora dieci euro. Io non posso protestare, perché trovano subito un´altra che lo fa al posto mio. Però è così: i prezzi sono raddoppiati e gli stipendi no». Ci sono sartine che cuciono come fossero alla catena di montaggio e altre - in estinzione - che fanno cose più complesse, anche creative, e che vengono pagate in proporzione. Le boutique di un certo tono ne hanno sempre una di riferimento. Racconta Letizia Morini, proprietaria di "Dettagli", elegante negozio d´abbigliamento a Roma Parioli: « la sarta che fa la differenza. La nostra Lucia, che ha 79 anni, è insuperabile. Non si limita certo ad allungare e ad accorciare gli orli, ma spesso ha intuizioni e soluzioni per modifiche che accontentano ogni nostra cliente. così, dando la sensazione del capo su misura, che combattiamo la crisi». Laura Laurenzi