L’Espresso 06/10/2005, pag.72-75 Sabina Minardi, 6 ottobre 2005
Mostri da record. L’Espresso 06/10/2005. Anche la Belva del Brennero, prima di diventare un sadico estremo, era stato un bambino: povero, picchiato, abbandonato dalla madre, abusato
Mostri da record. L’Espresso 06/10/2005. Anche la Belva del Brennero, prima di diventare un sadico estremo, era stato un bambino: povero, picchiato, abbandonato dalla madre, abusato. E neppure il Lupo dell’Agro romano aveva mai ricevuto una carezza: un giorno a scuola strappò un occhio a un alunno con una forchetta; a 31 anni concluse la carriera soffocando il compagno di cella per una sigaretta. come affondare le mani dentro il noir dell’animo. E riemergere con brandelli sanguinanti di cronache annidate lì, dietro l’angolo della memoria, attraversare la galleria di mostri che hanno popolato il passato e il presente: da Jeffrey Dahmer, la belva di Milwaukee, che a 5 anni smontava gli animali per vedere come erano fatti dentro, e a 20 anni sezionava le persone, per stenderle nel letto accanto a sé, a Marc Dutroux, il mostro di Marcinelle, che rapiva e seviziava bambini in Belgio; da Leonarda Cianciulli che, tra il 1939 e il 1940, tagliava a pezzi i cadaveri e li bolliva per trasformarli in saponette al più recente cannibale tedesco, che utilizzava Internet per trovare vittime disposte a farsi divorare. Vedove nere e angeli della morte, vampiresse e ammazzabambini. Assassini, seriali e plurimi, nei quali l’Italia vanta un record sconvolgente: il secondo posto al mondo, per numero di casi accertati, dopo gli Stati Uniti. A dimostrarlo, dopo aver riunito in un’unica banca dati tutti gli eredi di Jack lo Squartatore (oltre 2000 storie), fino a Enrico Zenatti, ritenuto dagli inquirenti "il primo serial killer del 2005", sono stati lo psichiatra Vincenzo Maria Mastronardi, docente di Psicopatologia forense dell’Università La Sapienza e direttore del Master in Scienze criminologico-forensi, e Ruben De Luca, psicologo e criminologo. Insieme firmano un volume di quasi mille pagine intitolato ”I serial killer”, che Newton Compton editori manda in libreria all’inizio di ottobre. "L’Italia è al secondo posto per numero di serial killer", dice Mastronardi: "Ma si tratta di una classifica in continuo aggiornamento: ci sono serial killer non ancora noti in molte nazioni. Per anni, l’ex Unione Sovietica ha tenuto nascosto il numero dei suoi assassini. Proprio in questo momento stanno emergendo nuovi casi dall’Argentina e dal Brasile. Ma anche a invertire in futuro qualche posizione, l’Italia resta tra le nazioni europee con il più alto numero di serial killer". Se il mostro di Firenze, otto duplici omicidi nella campagna fiorentina tra il 1968 e il 1985, ha fatto prendere coscienza che il fenomeno non era una peculiarità straniera, arriva dunque la conferma ufficiale: sono 123 i serial killer identificati (sette per omicidi commessi tra il 1628 e il 1875, tutti gli altri concentrati in un arco di tempo dal 1902 al 2005). Di questo totale, 85 hanno ucciso come predatori solitari, sei in coppia, 32 fanno parte di gruppi assassini. In più della metà dei casi hanno agito nel nord d’Italia."E bisogna tenere conto di un ”numero oscuro” che sfugge alle statistiche", aggiunge De Luca: "O perché il crimine non viene denunciato, o perché non viene scoperto, o perché non si arriva, per motivi diversi, alla condanna. Senza fare allarmismi, sono quasi 20 anni, per esempio, che a Roma si verificano assassini di omosessuali. Credo che il trend dei serial killer sia in aumento in Italia, come in tutti i paesi industrializzati. Dove c’è più frustrazione. E la crisi maschile è più accentuata". Killer di prostitute "La donna mi ha sempre fatto paura: paura di non essere all’altezza", ha raccontato Marco Bergamo, che sta scontando l’ergastolo per aver ucciso tra il 1985 e il 1992 una ragazzina e quattro prostitute, colpendole selvaggiamente ovunque tranne che sulla zona genitale: "Questa paura è diventata odio quando ho sospettato che una vicina mi avesse avvelenato il cane. Ho cominciato a odiarle tutte". "Nel delitto passionale si uccide chi si ama. Qui si ama uccidere", dice Mastronardi a proposito del più diffuso delitto seriale: quello contro le prostitute. Anche in Italia il serial killer cerca vittime deboli: e le trova sulla strada. Come il camionista Giancarlo Giudice, che infierisce tra il 1984 e il 1986. O Maurizio Minghella, assassino nel Nord-Ovest tra il 1978 e il 2001; Maurizio Giugliano, che tra Roma e Venezia, tra il 1983 e il 1993, uccide 8 persone; Gianfranco Stevanin, due delitti accertati vicino a Verona nel 1994; Roberto Spinetti, che ha colpito tra Emilia e Veneto nel 2003. "La differenza tra il serial killer italiano e quello nord-americano è netta", spiega Mastronardi: "In genere l’americano uccide per edonismo: ha bisogno di dimostrare agli altri il suo potere e a se stesso di avere il coraggio di correre dei rischi. L’edonismo è classico delle società industriali, dove l’evoluzione degli standard morali non procede di pari passo al benessere sociale. il serial killer alla Jeffrey Dahmer, che uccide per avere il pieno controllo degli altri. Nei delitti italiani c’è questa necessità di autogratificazione. Si riscontrano quasi sempre disturbi intrapsichici gravi, legati a situazioni infantili, ad angosce mai superate, a esperienze di deprivazione". Come Andrea Matteucci, che sevizia quattro prostitute e un omosessuale, tra il 1980 e il 1995, ad Aosta e dintorni: alla nascita rifiutato perché prematuro, costretto ad assistere agli incontri sessuali della madre con i clienti. Sconvolto, entra ed esce da case di recupero, finché non parte la vendetta: ammazza per liberare il mondo dalle ”sconcezze”. Le donne che uccidono Hanno un tratto in comune anche le donne serial killer: eliminano solo persone che conoscono. "Mentre gli uomini scelgono vittime sconosciute di sesso femminile, sulle quali sfogare rabbia sessuale e senso di inadeguatezza, le donne non fanno scelte specifiche in base al sesso. E colpiscono mariti, amanti, conoscenti a vario titolo", nota De Luca. "Non sopporto chi mi usa violenza, così punisco i maschi uccidendoli", spiega, durante un interrogatorio, Milena Quaglini, la ”vendicatrice del Nord”, che uccide nel 1995 un usuraio, che pretendeva prestazioni sessuali; nel 1998 il secondo marito, colpendolo nel sonno, dopo l’ennesima scenata domestica; nel 1999, con una dose massiccia di tranquillanti nel caffè, dopo aver subito violenza sessuale da un uomo che l’aveva ospitata. Le donne serial killer si rintracciano mediamente in tempi più lenti dei maschi: se per scoprire un assassino seriale servono quattro anni, per le donne ne occorrono otto. Grazie alla loro capacità di mimetizzarsi: come Apollonia Angiulli di Ostia, che nel 1988 annega nella vasca da bagno i suoi figli, di uno e cinque anni. La polizia pensa a una disgrazia. Finché la ”casualità” non si ripete: muore, nella stessa vasca, nel 1991, un terzo figlio di appena 8 mesi. In genere, le serial killer non infieriscono sui cadaveri con mutilazioni e smembramenti. Fa eccezione Leonarda Cianciulli, la Saponificatrice, che al processo racconta le tecniche per far sparire i corpi di tre donne: "Facevo a pezzi i cadaveri, mettevo la caldaia sul fuoco alle 19 e la lasciavo andare fino alle 4 del mattino. Il sangue lo riunivo a marmellata, con cioccolato, vaniglia e cannella. Offrivo le torte alle mie visitatrici". Visionari e missionari "Ci sono altre due tipologie di serial killer molto diffuse: quella del visionario e del missionario", spiega Mastronardi: "Come Pedro Alonzo Lopez che in Perù sterminò 400 bambini per evitargli le sofferenze terrene". O come Leonard Lake e Charles Chitat Ng, reduce dal Vietnam l’uno e convinto d’essere un guerriero ninjia l’altro, che sentivano le voci ordinargli di imprigionare schiave sessuali, da usare dopo un presunto olocausto nucleare: insieme massacrarono almeno 25 ragazze. E di gente che colpisce per missione, convinta di dover ripulire il mondo, c’è più di un esempio anche in Italia: come nella follia a due della coppia Ludwig (Wolfgang Abel e Marco Furlan), 15 vittime accertate (ma il totale potrebbe crescere), e la firma su ogni delitto: ”Gott mit uns”, Dio è con noi. Uccideva "per purificare" Gaspare Zinnanti, tre vittime nel 1997 a Milano. Aveva la missione di ripulire il quartiere dai barboni, Paolo Terlizzi, che nel 2000 passa all’azione, pugnalandone uno al cuore. Sempre nel 2000 viene arrestato Maurizio Spinelli, accusato di aver ucciso tre prostitute tra Pistoia e Prato. Confessa i delitti, sostenendo che il suo obiettivo era punire gli immigrati slavi. E anche Michele Profeta, che semina carte da gioco e cadaveri terrorizzando Padova nel 2001, spiega di averlo fatto per obbedire alla voce di una parente morta: "Mi ha costretto, per espiare le sue colpe, a sacrificare due innocenti. Mi sentivo come un sacerdote". Angeli della morte "Uccidere crea una specie di dipendenza", aggiunge Mastronardi: "Il serial killer è un drogato dall’onnipotenza sperimentata". Terreno di serialità si sta sempre più spesso rivelando l’ospedale. Con figure come quel Jeffrey Lynn Feltner, che soffocò nel sonno otto pazienti "per attirare l’attenzione sulle cattive condizioni degli ospedali". "Gli angeli della morte sono stati a lungo un tabù", dice De Luca: "Perché la loro presenza tra chi è chiamato a prendersi cura dei malati mina la sicurezza di tutti, anche di chi si sente fuori pericolo per il fatto di non appartenere a certe categorie a rischio". Dopo i casi di Anna Santa Catanese, che colpì tre pazienti nel 1989 a Catania, Attilio Busnelli (due vittime) a Milano nel 1990, Alfonso De Martino, colpevole di tre omicidi, tra il 1990 e il 1993 ad Albano, si torna a parlare di infermiere assassine con Sonia Caleffi, che ha confessato di aver ucciso 5 pazienti all’Ospedale Manzoni di Lecco, dove era in servizio tra settembre e novembre 2004: ma si ipotizza che possa averne uccisi molti di più. "La difficoltà di censire questi serial killer è duplice: da una parte sono gli ospedali a non divulgare i casi; dall’altro ci sono ostacoli giudiziari in assenza di prove assolute", aggiunge De Luca. "Uccidevo per essere al centro dell’attenzione", ha spiegato la Caleffi, infanzia senza traumi e il sogno di dedicarsi al prossimo. I pedofili "Le ultime teorie criminologiche tendono a valorizzare le cause biologiche del comportamento da serial killer", dice Mastronardi: "C’è chi sostiene che il serial killer abbia anomalie cerebrali. Meno rilevanti sono fattori come famiglia, povertà, traumi infantili. Lombrosiani e seguaci di Freud hanno sempre oscillato tra queste posizioni: predeterminazione al crimine e cause familiari e relazionali. Ma l’esperienza insegna che un’anomalia cromosomica non basta a spiegare i delitti: c’è un mix di fattori. Se sulle cause temperamentali incidono circostanze gravi, si possono generare effetti preoccupanti". A Giorgio Ossolano, che apre, nel 1832, la lista degli assassini di bambini, mancava un occhio a causa di una malformazione congenita, beveva pesante, si manteneva rubando i paramenti delle chiese: "Ne ho uccisi tanti, non ricordo il numero esatto", disse al processo. Sette sono state a Roma le piccole vittime di Lionello Egidi negli anni Cinquanta. L’ultimo caso clamoroso di pedofilia quello di Luigi Chiatti, il geometra di Foligno, che tra il 1992 e il 1993 soffoca due bambini: pedofilo solitario, che avvicina i piccoli per incapacità di stabilire un rapporto con gli adulti. "Uccide per odio verso il mondo accumulato in lunghi anni di umiliazioni", dissero i giudici. Gli atipici Ma l’Italia è soprattutto il paese dei serial killer atipici. Da Donato Bilancia, 17 volte omicida ("Uscivo e decidevo di andare ad ammazzare, così come avrei potuto decidere di andare al ristorante", raccontò in un’intervista a ”Domenica In”) a Michele Profeta, in molti non scelgono uno schema unico, ma prendono come bersaglio vittime diverse tra di loro. Mettendo in crisi la definizione dell’Fbi: serial killer è chi ha ucciso almeno tre volte nelle stesse condizioni. "La novità del nostro lavoro è di superare la tradizionale classificazione. E considerare tutti quelli che hanno dipendenza a uccidere", dice De Luca: "’Mi piace uccidere, è una bella sensazione”, scriveva Angelo Izzo dal carcere, prima di tornare a farlo. Persone arrestate per un solo delitto, spesso ne confessano dopo altri. Per questo è importante sganciare la definizione di serial killer dal numero di vittime. E considerare fattispecie nuove: come i serial killer latenti, che si esprimono entro strutture che gli consentono di uccidere: soldati o terroristi". "La pulsione da predatore provoca dipendenza", conferma Mastronardi: " questo desiderio di onnipotenza a definire il serial killer". Sabina Minardi