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 2005  ottobre 11 Martedì calendario

Audience ed emozioni: il Pakistan vale meno di New Orleans. Il Sole 24 Ore 11/10/2005. Pamela Vona, una turista italo-greca che il 26 dicembre 2004 fu travolta dallo tsunami in un villaggio vacanze dello Sri Lanka e poi soccorsa e curata da una famiglia cingalese, racconta la sua avventura in un libro, "L’onda", pubblicato da De Agostini

Audience ed emozioni: il Pakistan vale meno di New Orleans. Il Sole 24 Ore 11/10/2005. Pamela Vona, una turista italo-greca che il 26 dicembre 2004 fu travolta dallo tsunami in un villaggio vacanze dello Sri Lanka e poi soccorsa e curata da una famiglia cingalese, racconta la sua avventura in un libro, "L’onda", pubblicato da De Agostini. avresti fatto tu per noi?" le chiedono quei buoni samaritani, quando Pamela manifesta la propria gratitudine. E lei, la ricca occidentale, non trova parole per rispondere. Appunto: chi, in Europa o in America, si priverebbe dell’80% di quello che possiede per darlo a stranieri bisognosi di aiuto? Ma senza pretendere gesti eroici alla San Martino, quanti di noi sono capaci di elargire un segno, sia pur minimo, di solidarietà, o anche solo di commuoversi, per le popolazioni colpite dalle catastrofi? Negli ultimi dodici mesi siamo stati martellati da una tale sequela di disastri - inondazioni, terremoti, frane e uragani - che cominciamo pericolosamente ad assuefarci. L’onda di Santo Stefano ha spazzato via in poche ore i paradisi dei tour operator, e con essi tanti nostri connazionali, parenti, amici. Katrina a New Orleans ha occupato per settimane le prime pagine forse anche perché tata vista da molti come un castigo divino contro Bush e l’America imperialista e guerrafondaia. CONTINUA A PAG.6 Ma in un caso e nell’altro, dopo il primo shock emotivo e le prime collette via cellulare (quasi un’alternativa eccitante allo scambio di suonerie), l’oblio e la routine hanno presto ripreso il sopravvento. E adesso, lo spaventoso sussulto della placca euroasiatica che ha inghiottito interi villaggi del Pakistan, se non ci lascia indifferenti, è percepito poco più che come un inquietante rumore di fondo. Non è sempre vero che, portando il mondo in casa, la Tv ci affratella, facendoci sentire coinvolti nelle sciagure dei nostri simili che vivono in Paesi lontani. Al contrario: il piccolo schermo appiattisce le prospettive, alternando con disinvoltura zoomate su catastrofi planetarie a ingrandimenti di tragedie locali. Pochi minuti di servizio sul Pakistan e il Nicaragua, qualche immagine di devastazione, qualche bimbo piangente - forse asiatico, forse centroamericano, chissà. Poi la conduttrice del tiggì, con evidente sollievo, "volta pagina": ora passiamo alla cronaca: due donne travolte e uccise nel centro di Ancona da un fuoristrada impazzito". E istintivamente il telespettatore, abbandonati i piccoli del Kashmir al loro destino, si identifica con le due ignare vittime di un evento così assurdo: un uomo colto da infarto al volante che perde il controllo dell’auto. cidenti, che disgrazia: ormai non si pummeno camminare tranquilli nella propria città". Nella par condicio televisiva, tutti i morti sono eguali, e quindi, inevitabilmente, pesano di più quelli più vicini e familiari. Cie uccesso a loro, per quanto improbabile, potrebbe toccare a noi domani. In Pakistan o in Nicaragua, invece, faremo a meno di andarci: lo sanno tutti che lì frane e terremoti sono all’ordine del giorno. Anche nei giornali, del resto, la gerarchia delle notizie sembra relegare il sisma asiatico, o la frana centroamericana, su un gradino più basso rispetto alla manifestazione dell’Unione in Piazza del Popolo, al dibattito sul proporzionale, alle ultime esternazioni di Follini, al virus dei polli e alle cimici dei treni. Per non dire delle traversie della coppia Hunziker-Ramazzotti. quel "continuo baluginìo d’importanza e irrilevanza", quel "su e giù di dispacci" di cui ha parlato il filosofo tedesco Peter Sloterdijk (Critica della ragion cinica, Garzanti 1992) per denunciare gli "effetti di deconcentrazione e distrazione che i moderni mezzi massificati hanno su di noi". Nella sua etimologia, la parola "catastrofe" racchiude due possibili significati: distruzione finale o rivolgimento, e quindi svolta. Apocalisse o cambiamento. L’11 settembre, per l’immaginario occidentale, tato una catastrofe in entrambi i sensi: l’apocalisse nel cuore del Paese più ricco e potente del mondo, e al tempo stesso il presagio di un tornante epocale. Tanto che allora si disse (con qualche ragione) che nulla sarebbe stato più come prima. I tremila delle Twin Towers sono rimasti inceneriti insieme al sogno di un pianeta riconciliato dopo il crollo del comunismo e sono diventati i martiri della lotta contro l’Asse del Male. I trentamila del Pakistan sono morti senza speranza. Il loro mondo non finisce col terremoto, ma non ne comincia uno nuovo, dopo (anche se, come qualcuno si augura, la furia del sisma avesse sbriciolato il bunker dove si nasconde l’inafferrabile Osama). vero che l’annientamento di migliaia di bambini ha cancellato una generazione, privando intere comunità del loro futuro. Ma che ce ne importa del futuro, delle generazioni che verranno, in questa Italia della crescita zero? Riccardo Chiaberge