Il Sole 24 Ore 07/10/2005, pag.22 Dario Banfi, 7 ottobre 2005
Come scrivere il business plan. Il Sole 24 ore 07/10/2005. Mettersi in proprio è questione di equilibrio e di giusta misura
Come scrivere il business plan. Il Sole 24 ore 07/10/2005. Mettersi in proprio è questione di equilibrio e di giusta misura. Bisogna saper combinare gli ingredienti utili alla creazione di un’impresa. La ricetta per avere successo non esiste, ma di sicuro un modo per mettere le mani avanti, prima di inciampare, esiste e si chiama business plan. un documento programmatico che ogni imprenditore alle prime armi dovrebbe avere in tasca, uno strumento fondamentale per la pianificazione di un’attività, che descrive l’idea di base e misura la fattibilità di un progetto. "Non ci può essere nuova impresa senza business plan - spiega Federico Montelli, direttore di Formaper di Milano -. un documento indispensabile, che mette in chiaro ciò che serve per partire, per crescere e svilupparsi nei primi tre anni". Sono almeno quattro gli elementi da mettere a fuoco: l’idea di business, il mercato, la sostenibilità finanziaria e l’organizzazione di un’impresa. "Alla fattibilità economica deve corrispondere solidità finanziaria nel tempo - precisa Montelli -. Idee e pianificazione dello sviluppo devono prevedere la definizione dell’assetto organizzativo, le attività di marketing, i fabbisogni in fase di crescita". Tre dei quattro motivi per i quali le imprese falliscono, secondo una recente indagine di Formaper, dipendono da un’errata valutazione di questi elementi. Le cause di mortalità delle imprese sono legate, infatti, a problemi finanziari e di accesso al credito, ma anche alla mancanza di mercato, all’assetto societario o, curiosamente, alle liti tra i soci. "Delle 60mila società che nascono ogni anno solo in Lombardia, circa 55mila sono microimprese e meno di un terzo redige un business plan". Come prepararlo, dunque, con le dovute attenzioni? Le soluzioni possibili sono quattro: farselo scrivere da altri; mettersi in gioco in prima persona, magari seguendo dei corsi; trovare consulenza presso le Camere di commercio; affidare il progetto a società di venture capital. "Demandare a terzi, non è mai una buona cosa - continua Montelli - Commercialisti e consulenti esterni sono una via d’uscita, ma è preferibile imparare a farselo da sé, per dare l’impronta giusta e tenere le redini dei propri affari". Il sistema camerale italiano e le istituzioni regionali sono i centri di formazione più indicati per orientarsi. In prima linea ci sono anche enti come Assefor Camere, che ha sviluppato il progetto Olimpo, Formaper, l’Agenzia sviluppo Nord Milano, Ermes Imprese, insieme ai Business innovation center (Bic), nati per volontà della Commissione europea e focalizzati sul l’incubazione d’impresa. Ogni anno i trenta Bic italiani seguono lo start-up di circa 450 nuove attività, fornendo assistenza nella stesura del piano di sviluppo. "Ci sono differenti livelli con cui affrontare la sfida di un business plan - racconta Daniele Bonelli, responsabile del settore della Camera di commercio di Torino -. C’è un approccio fai-da-te, basato sull’autoformazione, sulla consultazione di servizi di e-learning o la frequentazione di corsi intensivi. Ma ci sono anche percorsi di affiancamento, forniti dalle Camere". Nel capoluogo piemontese, oltre alle indicazioni di tipo amministrativo e a una guida negli adempimenti in fase di avvio, un nucleo di consulenti segue i neoimprenditori individualmente. "Il servizio è gratuito e insegna a mettere tutto nero su bianco, a prevedere i costi e le vendite, oltre ad allocare gli asset finanziari. Una volta avviata l’attività, facciamo anche controlli a campione per misurare la tenuta nel tempo". Per la stesura a quattro mani, con i consulenti dell’ente, bastano due mesi, ma per chi ha conoscenze in ambito finanziario ci vuole meno. Il business plan è uno strumento utile anche a chi un’impresa ce l’ha già. sempre più richiesto nei bandi di gara per l’assegnazione di finanziamenti nazionali e regionali: dalla legge 488 alle agevolazioni previste dal Programma operativo nazionale Sviluppo imprenditoriale locale del ministero delle Attività produttive o dalla normativa regionale. "Tecnologia, ambiente, no profit, imprenditoria femminile sono tutti ambiti che offrono sgravi e contributi, da valutare e inserire certamente in un business plan - suggerisce Montelli - la carta d’identità da presentare in banca quando si chiede un fido, ma anche il documento richiesto per certificare la serietà di un piano d’investimento". Per chi trovasse difficile l’accesso al credito esiste anche un’altra via: il supporto di investitori privati. La strada si chiama Aifi, l’associazione che raccoglie chi opera nel settore del private equity (finanziatori di imprese già avviate) e venture capitalist, titolari di fondi di investimento rivolti alle start-up. "Per un buon business plan finanziamo da 1 a 5 milioni di euro - racconta Sonia Dehò, senior associate di Pino partecipazioni, la società di Elserino Piol - Per attività che richiedono minori investimenti ci si può comunque rivolgere anche ai business angel". Dario Banfi