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 2005  ottobre 11 Martedì calendario

Aumann Robert

• Francoforte (Germania) l’8 giugno 1930. Matematico. Professore al ”Centre for Rationality” della Hebrew University (Israele), è cittadino israeliano e americano. Nel 1938 ha lasciato la Germania con la famiglia, perseguitato dal nazismo, e si è trasferito negli Usa. Dal 1956 ha vissuto in Israele. Ha all’attivo sei libri, tra cui una raccolta di tutti i suoi iscritti edita a Cambridge. La sua biografia, nel sito della Hebrew University, riferisce con orgoglio che ha 5 figli, 17 nipoti e un pronipote. Premio Nobel per l’Economia 2005 (insieme a Thomas Schelling). «[...] si sono distinti nella ”teoria dei giochi”. Dimostrando che la cooperazione è più produttiva della guerra, e che in situazioni di rivalità è più razionale far capire al proprio avversario quali sono le proprie intenzioni, per evitare esiti distruttivi. [...] I contributi scientifici di Aumann sul tema conflitto-cooperazione hanno utilizzato la logica e la matematica nell’analisi dei cosiddetti ”giochi ripetuti all’infinito”, cioè per capire quali opzioni si presentano al soggetto che debba affrontare ripetutamente lo stesso avversario o concorrente. Un esempio concreto è quello di flotte di pescherecci che si ritrovino quotidianamente a competere nella stessa zona di pesca. Mentre nel caso di una competizione una tantum, l’ottica di breve termine incita ogni flotta a massimizzare la sua presa, se invece essa sa di dover tornare nello stesso mare giorno dopo giorno a fronteggiare gli stessi concorrenti, allora diventa più logico cooperare e negoziare una auto-limitazione. un esempio di come, in situazioni strategiche che mettono di fronte più volte gli stessi avversari, il vantaggio comune a raggiungere degli accordi tende a crescere. L’Accademia svedese ha sottolineato i meriti dei due economisti nell’aver cercato di rispondere al quesito: ”Perché alcuni gruppi di individui, di organizzazioni o di paesi hanno successo nel promuovere la cooperazione, mentre altri soffrono a causa dei conflitti?”. L’applicazione delle teorie di Aumann e Schelling dovrebbe rendere più chiara la nocività delle guerre commerciali e delle spirali protezionistiche, e i vantaggi generali che si ricavano quando le comunità uniscono i loro sforzi e le loro risorse. Il loro lavoro ha dato basi scientifiche all’idea che ”una parte in gioco può rafforzare la propria posizione riducendo apertamente il numero di opzioni di cui dispone”. Dal punto di vista descrittivo, non normativo, la teoria dei giochi a ripetizione serve anche a ”capire la ragion d’essere di molte istituzioni, dalle corporazioni di mercanti al crimine organizzato, dai contratti salariali di categoria agli accordi sul commercio internazionale”. Anche se i loro lavori convergono, Aumann e Schelling non hanno mai collaborato. [...]» (Federico Rampini, ”la Repubblica” 11/10/2005). «[...] Quando parla della specialità per cui è stato premiato (settimo premio Nobel israeliano) insieme al professore americano Thomas Schelling, ovvero la teoria dei giuochi per risolvere i conflitti, spiega che l’idea base è trasformare in modello matematico il confronto continuo fra tutte le variabili (psicologia, economia, biologia, strategia...). Ma appare come immerso in un ripensamento continuo su se stesso, la sua modestia suggerisce che l’esperienza è una pietra senza la quale la logica stessa non capisce niente; e torna con gli esempi alla sua famiglia, alle tragedie o alle gioia tipica di un israeliano immigrato dagli Usa nel 1956, per forza l’anno di una guerra, visto che ce ne sono tante, compresa quella in cui nell’82 in Libano in cui ha perso il figlio Shlomo, soldato. Forse è per quello che ha sognato di risolvere i conflitti con la logica. E poi ci si riesce, professore? ”No. Non ci si riesce. sbagliato il nostro approccio stesso al problema delle guerre. La guerra, insieme alle malattie è una delle circostanze più drammatiche in cui l’uomo si viene a trovare da millenni. Ora, quando cerchiamo con qualche parziale successo di curare il cancro, è perché abbiamo conquistato una conoscenza di che cosa è. Con le guerre, noi ci affrettiamo a cercare risposte sia qui, che in Irlanda, o nel conflitto fra l’India e il Pakistan. Ma esse rispondono solo alla nostra fretta, non conoscono neppure le domande giuste. La guerra, come la religione, è una costante delle storia umana. Perché? Cerchiamo di rispondere a questa domanda, e forse accorceremo di un poco la lunghissima via che ci separa da una soluzione” Si può trovare il ”perché” anche di qualcosa di irrazionale? ”La guerra non è irrazionale: dirlo è un modo di fuggire alla realtà. Diciamoci più realisticamente che non sappiamo analizzarne i significati [...] il conflitto arabo israeliano durerà altri ottant’anni, forse anche di più. Dobbiamo essere pronti ad affrontare l’idea che gli arabi non vogliono qui il nostro Paese, e data questa variabile, cercare di affrontare il futuro con razionalità. Dobbiamo sapere stare qui, nel nostro Paese, nel modo migliore, sapendo che la corsa è di lunga durata, senza soluzioni fasulle”. Dicono del Premio Nobel che sia per chi lo riceve il riconoscimento più emozionante perché consente di lasciare ai posteri il retaggio delle proprie idee, di sé stesso in modo definitivo. [...] ”Sono molto orgoglioso che la nostra ricerca, compiuta nell’ Università della mia Gerusalemme che nomino tre volte al giorno nella preghiera, sia già appannaggio di miei allievi, e allievi dei miei allievi, fino alla terza generazione. Ma i miei figli, i miei nipoti e insieme i miei ricordi, sono il retaggio più importante. Tutta questa gente che cammina per il mondo, e che si moltiplica. Questa è la mia gioia, più del premio Nobel”. Se non risolve le guerre, che conflitti può risolvere il suo lavoro matematico? ”Un gran numero, che riguardano i rapporti internazionali, quelli interni, l’economia, ogni problema. Niente è come sembra: nel 1990 ci fu qui uno sciopero lunghissimo. Alla fine il governo accettò le nostre proposte e tutti dissero: ’Che spreco, avrebbe potuto accettare subito e evitare un danno enorme per tutti’. Non è vero, fu proprio la dinamica del ’gioco’, la nostra resistenza, che costrinse a risolvere positivamente, non le nostre ragioni”. [...] crede che lo studio del Talmud l’abbia aiutata a elaborare la teoria del gioco per la risoluzione dei conflitti? ”Certo che sì, ma [...] con la teoria dei giochi ho anche risolto un passaggio del Talmud che nessuno aveva mai capito”» (Fiamma Nirenstein, ”La Stampa” 12/10/2005).