10 ottobre 2005
SOLDANI Renzo.
SOLDANI Renzo. Nato a Cireglio (Pistoia) il 2 maggio 1925. Vincitore del Giro di Lombardia 1950. «’Al Giro d’Italia vado piano, ma dopo non sento la catena. Però c’è sempre qualcosa che non va. Al Giro del Veneto vado in fuga, foro, cambio la gomma da solo perché la macchina della Legnano non c’era mai, vengo ripreso e staccato, rientro. E questa è la verità. Al Giro del Piemonte inseguo i primi, a Coppi scappa di mano una bottiglietta, un vetro mi taglia la gomma, la macchina della Legnano non c’è, stavolta tiro diritto, arrivo al traguardo con la gomma a terra, piangendo. Un giornalista mi chiede cos’ho, io glielo dico, e lui profetizza: ’Vincerai il Lombardia’. E questa è la verità”. Manca una settimana e Soldani rimane ad allenarsi in Lombardia. ”Un giorno si va sul Ghisallo, s’incontra Fiorenzo Magni, che dice: ’Guardate chi avrebbe vinto il Piemonte’, e indica me. E questa è la verità. Poi il Lombardia. La sera della vigilia, Eberardo Pavesi, ’l’avocatt’, direttore sportivo della Legnano, si raccomanda: ’Se andate in fuga con Coppi, Magni, Bobet, Koblet e Kübler, per carità, lasciategli fare la loro corsa’. Che vorrebbe dire: ’Non tirate un metro’. Sto con i primi fino al Ghisallo. Poi, sul Ghisallo, Coppi stacca tutti, a uno a uno. E rimaniamo solo lui e io. Lui già con il cambio Simplex, a molla, un lusso, io con il Vittoria Margherita, che per cambiare bisognava fare mezza pedalata all’indietro, il 50 davanti, 15-17-19-21 dietro. Lui fa la sua corsa, invece a me, a metà, sul falsopiano, viene un crampo. Slaccio il cinghietto, tiro fuori il piede, sciolgo il muscolo, e Coppi è già avanti un tornante, riprendo a pedalare, Coppi è avanti trequarti di tornante, poi metà tornante, in cima se la macchina della Bianchi non mi chiude potrei anche vincere il Gran premio della montagna. E questa è la verità”. Poi la discesa. ”Mi ricordo bene quello che mi ha detto Pavesi e lascio fare a Coppi la sua corsa. Però non è vero che succhio la ruota, non è nel mio carattere, non mi rifiuto mai di dare una mano. Così Coppi tira 400 metri, e io 100. E aspetto nuovi ordini. Finché a una quindicina di chilometri da Milano arriva finalmente l’ammiraglia e Pavesi mi fa: ’Occhio, arrivano Bevilacqua e Zampini’. Neanche il tempo di dare una bella tirata e i due rientrano. Arriviamo al Vigorelli. E lì vinco. Dei quattro sono il più fresco. Secondo Bevilacqua, che pure è un bel velocista, terzo Coppi, quarto Zampini. E questo è l’ordine d’arrivo”. Il popolo del ciclismo aspettava Coppi. ”Meglio una gamba di Coppi che quattro delle mie - dice Soldani -. Coppi, alla Freccia Vallone, aveva staccato Van Steenbergen su un cavalcavia. Coppi volava, Coppi pedalava con le gambe e le braccia, il cuore e i polmoni, pedalava anche con il naso sempre più affilato e con gli occhi sempre più stralunati. Io no, io ero una mezza schiappa, anche se le mie corse ogni tanto le vincevo. E così i giornali non erano dalla mia parte”. Soldani sfiorerà un’altra vittoria al Lombardia nel 1951. ”Alla partenza si avvicina Coppi, ci si saluta, poi lui mi dice: ’Si fa come l’anno scorso”. ”Magari”, gli rispondo. Si attacca proprio sul Ghisallo. Davanti Volpi e Astrua, in fuga da 50 chilometri e con un paio di minuti di vantaggio. In cima, alla chiesetta della Madonna, passo terzo, mi volto, il vuoto. Coppi, quarto, è a 25’’ da me. Cerco di prendere Volpi e Astrua. Dopo una decina di chilometri sono su di loro, esauriti. Dietro ci recuperano. Si va a Milano. A 4-5 chilometri dal Vigorelli mi salta la catena: scendo, la sistemo, perdo 200-250 metri e loro a tutta, ’o li prendo o crepo’, li prendo ai -2. Pippazza Minardi, mio compagno, mi affianca: ’Renzo, come stai?’. ’Bene’. ’Allora ti tiro la volata’. Un pasticcio: invece di lasciarmi passare, Minardi mi chiude. Primo Louison Bobet, secondo Minardi, terzo Coppi e quarto io. E questo è un altro ordine d’arrivo”. Altro che storie. ”Un giorno, con un prete amico, ci si trova al bar. Mi chiede perché ho smesso di correre seriamente a soli 27 anni. Gli spiego: ’Lei sa fare il suo lavoro perché ha sposato la chiesa. Io, invece, la bici non l’ho mica sposata’. Poi aggiungo: ’Non avrei potuto fare neanche il prete, perché le donne mi sono sempre garbate’”» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 7/10/2005).