Varie, 10 ottobre 2005
SANTAMARIA
SANTAMARIA Claudio Roma 22 luglio 1974. Attore. Noto tra l’altro come il ”Dandi” di Romanzo criminale • «[...] Ho studiato teatro [...] ma in modo irregolare, non mi hanno accettato all’Accademia né al Centro Sperimentale. Non pensavo che il cinema fosse per me. In teatro me ne fregavo di chi venisse o non venisse a vederci, la soddisfazione era nel fare lo spettacolo. Venne Marco Risi, mi prese per L’ultimo Capodanno e così è cominciato il cinema. Sono incostante, Placido dice che sono sublime o cane. [...]» (Paolo D’Agostini, ”la Repubblica” 8/10/2005) • «Gli occhi segnano la storia di Claudio Santamaria. Ne è cosciente anche lui. ”Già all’asilo mi chiamavano il Bell’addormentato nel bosco. Li tenevo sempre chiusi a fessura. Forse un modo per proteggermi dal mondo. La gente pensava che ero un po’ fuori, un po’ assente. E in un certo senso era anche così. Nella maggior parte dei casi ero piuttosto chiuso e ritirato, e per un sacco di tempo sono stato il mago della fuga, scantonavo amicizie e amori, non sapevo affrontare bene la realtà, i dialoghi, gli scontri, i confronti. Sarà che sono Cancro, terzo figlio maschio e ultimo, con madre autorevole e padre buono...”. La sindrome timida non è però l’unica costante della sua personalità. ”Qualche volta vivo una scissione esplosiva, non mi controllo, butto via le sovrastrutture”. Prova ne è che nel lavoro gli riescono benissimo personaggi dannati, violenti, maniacali, balordi. Tutta una tipologia di soggetti fuori di testa. Ma fa anche di più. Mette la propria personalità introversa al servizio di qualcosa di molto plateale: è un attore che canta, e che sceglie miti difficili. Ce ne siamo accorti [...] ai tempi della fiction Rino Gaetano; l’abbiamo poi trovato ben coinvolto nel concertone del primo maggio [...] tutti l’hanno apprezzato per l’esibizione al [...] Festival di Sanremo quando ha cantato Bocca di rosa di De Andrè con la Pfm. ”La musica me l’ha inculcata mio fratello, che suona non professionalmente. Io sono cresciuto col rock’n’roll, con Prince, i Depeche Mode, i Cure e i primi Litfiba. Comprai una chitarra a diciotto anni. Ho suonato da solo, poi con piccoli gruppi. Ho collaborato con gli Ecu, e [...] poco ho inciso con i Mammouth. Il mio idolo è Joey Santiago, dei Pixies, uno che all’occorrenza crea cose bellissime con una nota sola”. Afferma d’avere dimestichezza anche con la tromba. ”Mi sono allenato per mesi quando Pupi Avati m’ha scritturato come trombettista in Ma quando arrivano le ragazze?. M’ispiro a Chet Baker, a Clifford Brown. La musica per me è importante. Ho pure composto canzoni mie, alla maniera dei Radiohead, con sottofondo melodico”. Il suono della musica è una droga leggera e pulita, per Claudio. Ma c’è anche il suono della sua voce e basta: di lui attore che non si fa vedere come doppiatore (e che andò, agli inizi, a lezione di doppiaggio da Stefano Molinari, quello che lo spinse a fare teatro); di lui che [...] ha imprestato il suo italiano al Batman di Batman Begins-Il cavaliere oscuro, e che è la voce fuori campo di Derek Rocco Bernabei di Ago Panini [...] ”L’analisi l’ho fatta, ma non sono mai riuscito a portare a termine un percorso. Non mi sono mai fidato di un analista. Non mi sono mai abbandonato del tutto. Che senso ha una confidenza creata dal denaro? Gli amici ti possono offrire molto più aiuto. Anche una scuola di recitazione ti può dare una mano. L’attore è una persona il cui lavoro va di pari passo con la conoscenza di sé. Io ci credo al punto che demonizzo la televisione, e m’arrabbio coi genitori che lasciano liberamente i bambini davanti alla tv che non t’abitua ad approfondire ma solo ad assorbire”. Resta un fatto: che da piccolo e da adolescente Claudio ha preferito essere taciturno. ”Navigavo in un dolore, ma dialogavo con me stesso. Ascoltavo dischi, avevo attenzione per cose piccolissime, non mi annoiavo mai. Ho iniziato a leggere tanto (anche ad alta voce) e a farmi una cultura dopo le scuole medie, e ho cominciato a capire le persone. Arrivando a farne l’imitazione. Mi divertivo improvvisando il pianto. Essendo nato e cresciuto a Roma in un quartiere di mezzo, in Prati, tutto fatto di ceti sociali misti, a un certo punto per reazione preferii la strada, oppure l’atletica leggera, il nuoto e il calcio, o ero preso da una febbre casinara e cazzona che mi spingeva a una socievolezza da cane sciolto, a base di scherzi ai danni della gente. Pur non essendo capace a spalancare bene gli occhi, ho messo piede in uno spettacolo già a sedici anni, in Piccola città di Wilder. Per pura fatalità al termine della scuola ho evitato di fare architettura. Che avrebbe troppo favorito una delle mie due nature, quella di solitario. Dai diciannove anni in poi mi sono messo solo a recitare. Ed è a ventuno anni che mi convinsi, mi liberai di tutto, facendo un’esperienza decisiva e anche micidiale nello spettacolo L’anello di Erode di Lucilla Lupaioli con la regia di Furio Andreotti [...] Con Placido in Romanzo criminale penso ad esempio di aver lavorato con la mano sinistra, ma non tutto il male viene per nuocere perché io sono mancino e, sì, stavo via con la mente, eppure ripensandoci oggi so di aver reso. Voglio dire che l’inadeguatezza può anche giocare scherzi positivi. D’altronde, parlo del cinema, non sempre hai a disposizione una macchina produttiva che t’agevola e t’assiste. Quando in America ho preso parte a Casino Royale di Martin Campbell potevo studiare a perfezione ogni scena, avevo uno sterminato tempo a disposizione per prepararmi, enormi mezzi, e una persona che faceva le luci per me [...] Un uomo che non vuole più imparare è un uomo morto. Per questo faccio l’attore. Per mettermi in contatto con cose che devo apprendere, indagare, scoprire. Io cerco di pensare ai comportamenti fisici che avrebbe il mio personaggio, ne ricopio tutte le battute a mano, ne immagino i gusti musicali” [...]» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 30/8/2009).