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 2005  ottobre 10 Lunedì calendario

CARACCIOLO

CARACCIOLO Carlo Firenze 23 ottobre 1925, Roma 15 dicembre 2008. Editore • «Gli itinerari esistenziali si comprendono con più nitore risalendo alle origini, nei momenti aurorali della vita in cui una personalità si tempra e rivela il profilo che durerà nei decenni. E il modo di far l’editore di Carlo Caracciolo attraverso le tempeste della fondazione di due giornali, il settimanale ”L’Espresso” e il quotidiano la ”Repubblica”, viene forgiato negli anni della Resistenza, come si apprende dalla lettura di L’editore fortunato, il libro-intervista con Nello Ajello [...] un modo in cui l’elegante understatement si combina con l’umorismo autoironico di chi preferisce immaginarsi dietro le quinte, anche a costo di oscurare il ruolo di protagonista effettivamente svolto. Caracciolo racconta di quando la sua famiglia ospitò in Svizzera, tra il ”41 e il ”43, un uomo che il padre aveva presentato come ”un professore di ginnastica” e che ciò nonostante appariva ”un po’ goffo nei movimenti” e ”non particolarmente abile” nel gioco del deck-tennis (insomma del ping-pong). Quell’uomo cui gli imperativi della clandestinità impedivano di rivelare la vera identità si chiamava Ugo La Malfa e dimostrava sin da allora il proprio temperamento sanguigno, anche sulle piccole cose: ”Eravamo molto più bravi lì, e ciò sembrava irritarlo”. E nella famiglia Caracciolo si faceva vedere in quello scorcio di storia anche il capo dello spionaggio americano Allen Dulles, un giorno còlto da Caracciolo in compagnia di Edoardo Visconti di Modrone, padre della futura moglie Violante, nel suo ufficio mentre era impegnato in un poco ufficiale pediluvio. Due modi di raccontare i personaggi conosciuti che non lasciano spazio alla retorica autocelebrativa, ciò che ha impedito forse di cogliere in questi decenni la funzione cruciale di un editore ”fortunato” nella nascita di formule giornalistiche destinate a segnare il panorama editoriale dell’Italia repubblicana. Lo stesso atteggiamento mentale, appunto, che caratterizza il giovanissimo Caracciolo quando si trova immerso nella guerra partigiana, da lui narrata non certo nei modi ampollosi dell’automonumentalizzazione. Partigiano in Val d’Ossola, Caracciolo si rifugia in una villa abitata da due anziane signore fiorentine. Per evitare delazioni gli altri resistenti dovettero’minacciarle di morte”, ma Caracciolo, pur ammirato dalla ”rude risolutezza partigiana”, si autoassegnò nella circostanza un altro ruolo: ”Per consentire alle nostre ospiti forzate di nutrirci, davo loro del denaro”. In mezzo agli orrori della guerra civile, Caracciolo non lesina [...] dettagli capaci di far sorridere il lettore e racconta di quando, braccato e affamato, nell’impossibilità di sparare per non richiamare l’attenzione del nemico con la detonazione, non si sentì capace di ”sopprimere una pecora” con metodi un po’ ruvidi. Dettagli saporiti, che non cancellano l’aura di tragedia che emanava da quegli anni di ferro e di fuoco. Nota Caracciolo: ”Rispondono al vero – e potei constatarlo di persona – molti degli episodi barbarici che Giampaolo Pansa ha raccontato nei suoi libri. Oltre che veritieri, erano inevitabili”. Nell’Italia repubblicana, quando imbocca con decisione la strada dell’editoria, Caracciolo si dimostra l’uomo attento a far quadrare i conti e a conciliare il rischio delle nuove avventure dell’’Espresso” e di ”Repubblica” con la solidità contabile. Un uomo che si diverte a raccontare all’intervistatore delle sue partite a poker a Garavicchio, vicino Capalbio, o del rapporto con ”un cognato di nome Gianni”, naturalmente Agnelli, ma ricostruisce anche momenti dolorosi come la rottura del 1967 nell’’Espresso” tra Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, divisi sul giudizio sulla Guerra dei sei giorni. E poi la vocazione dell’editoria, scoperta nel ”46 nel quotidiano ”Il Mondo” diretto da un esponente del Partito d’Azione come Alberto Cianca, insieme alla passione per gli scacchi che portò Caracciolo a recarsi con Cesare Garboli a Reykjavìk per assistere ai campionati mondiali tra Boris Spassky e Robert Fischer. [...]» (Pierluigi Battista, ”Corriere della Sera” 9/10/2005).