Varie, 7 ottobre 2005
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Mazzola Ferruccio
• Torino 1 febbraio 1945. Ex calciatore. Figlio di Valentino, fratello di Alessandro. Ha giocato in A con Venezia, Inter, Lazio e Fiorentina. «Essere figli d’una leggenda può essere, nel calcio, un’eredità insostenibile: era forse destino che un solo figlio del sommo Valentino ce la facesse. Alessandro è stato un campione degno di papà, lui un buon giocatore schiacciato dal cognome e dai continui paragoni con il padre e con il fratello maggiore, anche poco aiutato da una memorabile battuta di Sandrino ai tempi in cui erano entrambi all’Inter (’Ferruccio è più bravo di me”). Arriva in nerazzurro dopo due buone stagioni nel Venezia (la società dove era sbocciato Valentino), disputa un’unica partita e va al Lecco, poi alla Lazio, dove se non altro si costruisce una buona carriera (con una parentesi alla Fiorentina). in rosa nell’anno dello scudetto (’73-’74), ma non gioca mai» (Dizionario del Calcio Italiano, a cura di Marco Sappino, Baldini&Castoldi 2000). Negli ultimi anni ha fatto discutere soprattutto per le sue accuse contro l’Inter di Herrera: «[...] ”Sono stato in quell’Inter anch’io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l’allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno ’il caffè’ di Herrera divenne una prassi all’Inter [...] Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro... [...] Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi... [...] Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni ’90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n’è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all’Inter tra il ’55 e il ’64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell’Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione...”. A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni. ”Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. [...] noi panchinari facevamo da cavie. [...]”. Ma era solo nell’Inter che ci si dopava in quegli anni? ”Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti...” [...] E alla Lazio? ’Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno [...] Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all’Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel ’69? [...] Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall’Inter, l’hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l’Inter. [...]”» (Alessandro Gilioli, ”L’espresso” 13/10/2005).