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 2005  ottobre 06 Giovedì calendario

«Bonolis core ingrato». La Stampa 06/10/2005. Milano. I padroni della tv. Non sono i politici, i direttori di rete, i presentatori, i consiglieri di amministrazione

«Bonolis core ingrato». La Stampa 06/10/2005. Milano. I padroni della tv. Non sono i politici, i direttori di rete, i presentatori, i consiglieri di amministrazione. Sono i manager, i produttori, i gestori degli artisti, i commercianti di format. Intrattenimento e fiction vengono ormai pressoché totalmente appaltati all’esterno: i gruppi televisivi, i «broadcaster», si limitano a comprare format, al massimo a commissionarne, caso mai ad adattarli. Paolo Bassetti è l’amministratore di Endemol Italia, una delle maggiori società di produzione tv. I primi costruttori del successo sono stati il fratello Marco e la moglie Stefania Craxi: nel 1984 fondano, si immagina senza troppi ostacoli né soverchia fatica a trovar clienti, la Italiana Produzioni, che nell’89 diventa Aran. Nel ’97 viene acquistata da Endemol International (casa madre olandese): insediata in 26 nazioni, Endemol possiede un catalogo di 700 format, è la maggiore distributrice di programmi al mondo. Marco Bassetti ha lasciato il ruolo operativo al fratello e va in giro per il mondo a cercar programmi: a 48 anni, fa il Grande Vecchio. Paolo di anni ne ha 42 e, dice, «sono tra i più vecchi del gruppo». Lungo lungo, magro magro, è originario di Castelletto Ticino, lavora tra Milano e Roma, va a Verbania per i weekend, adora il lago che non gli dà tristezza, corre per rilassarsi, piazza i suoi prodotti con profondo spirito ecumenico, Rai, Mediaset, la 7, tutto Sky e i suoi canali. Ringrazia fratello e cognata «cui devo tutto», chiama gli olandesi «i miei», sostiene che la politica non lo tormenta, caso mai avviene il contrario: «Abbiamo la forza del prodotto». Come «Affari tuoi», croce e delizia dell’ultima stagione. Endemol sembra in grado di condizionare l’andamento tv: Bonolis, il re dell’intrattenimento, non fa più aprire pacchi e vacilla. Il suo manager Presta ha detto ieri che potrebbe tornare in Rai per fare radio, visto che l’esclusiva con Mediaset è solo per la tv. Una disfatta? «Certo Bonolis è un ingrato, dimentica i programmi che hanno contribuito al suo successo, ”Beato tra le donne”, ”Peter Pan”. Ora dice di considerare "Affari tuoi" una creatura propria, ma non lo voleva condurre, non lo ispirava, avevamo dovuto insistere moltissimo. Lui si sente un pensatore, mentre è un grande uomo di varietà». Meglio Pupo, il caso del momento, il battitor di «Striscia»? «Pupo è stata la mia prima scelta. Non per caso l’anno scorso faceva un quiz con i concorrenti della "Fattoria": era un modo per provarlo. La Rai non lo voleva, sembrava improponibile. Io ci credevo. Passa l’estate, si parla di Teocoli e di Fazio, la doppia conduzione mi andava bene». Guarda caso anche Fazio e Teocoli lavorano con format Endemol: e dopo che alla Rai non si accordano? «Torna la mia vecchia fissa, Pupo». E il merito del sì definitivo è stato di Cattaneo? «Il più convinto era Del Noce». Sempre reality, giochini: non hanno stufato? «Credo di no. Io credo che abbia fatto il suo tempo un’altra cosa: l’anomalia italiana di una prima serata lunga tre ore. Siamo l’unico paese al mondo che ha un prime-time infinito, e continuando a mortificare idee e progetti, artisti e conduttori. Noi pensiamo sempre al passato come migliore, pieno di bei programmi: ma quelli duravano un’ora». Nel caso del reality, però, che cosa potrebbe cambiare? «Potrebbe cambiare moltissimo. I reality di nuova generazione sono senza studio e senza la mediazione del conduttore, sono dei racconti ai confini con le docu-fiction. Ma durano poco: e così, da noi, in prima serata, non si possono fare. Lo propongo ufficialmente: torniamo alle prime serate di un’ora. Poi facciamo partire la seconda serata a un’ora decente, e possiamo provare, sperimentare». La Rai potrebbe persino fare un po’ di servizio pubblico? «Tutto è servizio pubblico, anche far passare un’ora di distensione. Certo che la quota dei ricavi pubblicitari Rai supera quella del canone. E certo questo non va bene». Però voi imperversate dovunque con l’intrattenimento «globalizzato», fatto in serie. Con la Rai non avete anche fatto un contratto piuttosto leonino? «Pur di tenersi "Affari tuoi" (che le ha portato in cassa 105 milioni di euro) la Rai ci ha proposto un contratto "garantito", triennale, sulla base del fatturato degli ultimi tre anni aumentato di un venti per cento. Forniamo il pacchetto completo dei format che la Rai sceglierà, lo sviluppo ce lo paghiamo noi, abbiamo un budget di oltre due milioni e mezzo di euro l’anno per lo studio di nuovi format». Però il vostro «contratto garantito» con la Rai fa sì che percepiate la cifra pattuita, al di là dei risultati. Ecco il capestro. «No, perché il nostro non è un lavoro ideologico: sono i broadcaster a decidere che cosa vogliono trasmettere, noi gli forniamo il prodotto. E se abbiamo qualche dubbio, vedi adesso con "Grande Fratello", siamo anche capaci di star fermi un giro. Dobbiamo risolvere il problema della conduzione. Barbara D’Urso è diventata un po’ una zia, e a me piacerebbe Maria De Filippi. Se ha successo, è perché si prepara in maniera maniacale. Solo che fa già tanto, e non vuole fare di più. Caso mai di meno». Dunque nessuna esclusiva, ecumenismo, cadere in piedi: un programma che va bene da una parte bilancia quello che va male dall’altra? «Noi proponiamo a ogni singolo canale quello che ci sembra adatto, avendo studiato orari, meccanismi, mancanze, bisogni... Abbiamo un "format department", tutte persone giovani, che si occupa proprio di questo: capire che cosa serve a una rete, e offrirglielo. Potendo scegliere fra 700 programmi già esistenti nel mondo. O, altrimenti, realizzandone uno nuovo ("Il ristorante", "Se sbagli ti mollo" sono format italiani), con una copia pilota che l’azienda può vedere. L’investimento è tutto nostro. Posso assicurare che il "format department" non butta via niente: arrivano idee da tutte le parti, e tutto viene considerato». Questa è una bella favola alla quale consentirà di non credere. Comunque, il benedetto contratto lo avete siglato con la Rai e non con Mediaset: combinazione, e al di là delle previsioni, Rai sta andando bene e Mediaset male. Divinazione o posizionamento? «Una corretta valutazione dei programmi legata alla centralità di "Affari tuoi". Poi, guardi, è presto per dire che Mediaset va male. Dal punto di vista economico, Mediaset non è mai andata così bene: fa investimenti oculati, per esempio sulle lunghe serialità. Risparmia sui costi, ottimizza i prodotti. L’intrattenimento è sempre stato la sua forza e lo sarà ancora». Alessandra Comazzi