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 2005  ottobre 04 Martedì calendario

«Avanti da soli? Mai. Anzi, sempre»: le giravolte dei poli. Corriere della Sera 04/10/2005. «Sulla legge elettorale la maggioranza ha non solo il diritto ma il dovere di andare avanti, anche da sola!», tuona Gavino Angius

«Avanti da soli? Mai. Anzi, sempre»: le giravolte dei poli. Corriere della Sera 04/10/2005. «Sulla legge elettorale la maggioranza ha non solo il diritto ma il dovere di andare avanti, anche da sola!», tuona Gavino Angius. «Guai! Sarebbe un colpo di mano!», strilla Silvio Berlusconi. «Non si cambiano le regole a partita in corso!», ammonisce Pier Ferdinando Casini. «A questo punto, abbiamo il dovere di andare avanti da soli», tronca Clemente Mastella. Se non ci capite niente, tranquilli: è solo un collage di sentenze dette senza arrossire dai protagonisti dello scontro di oggi a parti rovesciate, quando le norme del voto voleva cambiarle la sinistra. Prova provata che da noi è ormai incontenibile, anche sui temi più seri, un’ipocrisia indecente e a tassametro. Che sfocia nella pura e cristallina malafede. Sia chiaro: è legittimo cambiare idea. Di più: è un segno di libertà. Un termometro della democrazia. Ma ci sono dei limiti di buon gusto. Per la delizia dei nostri lettori, di sinistra e di destra, vale la pena di ricordare cosa dicevano gli uni e gli altri (salvo eccezioni come Giuliano Amato) nell’autunno del 2000 quando, a pochi mesi dal voto che pareva già vinto dalla destra, la riforma elettorale voleva farla l’Ulivo. «Da parte nostra c’è la volontà di far votare gli italiani con una nuova legge elettorale e questa legge vogliamo farla con le opposizioni. Ma se verificassimo che da parte loro non c’è la volontà, dovremo decidere che fare e io credo che dovremo andare avanti da soli», diceva Dario Franceschini, oggi teorico che «la legge elettorale è una regola base della democrazia e va modificata solo con un’intesa bipartisan». Ed Enrico Boselli, che oggi denuncia come «una prepotenza» la voglia della destra di cambiare il Mattarellum parlando di «un tentativo tanto disperato quanto grave per le nostre istituzioni democratiche», spiegava al contrario: «Se il Polo continuerà a fare catenaccio dovremo scegliere tra far finta di nulla e prenderci la responsabilità di andare al voto con una legge che ha fallito o andare avanti da soli. E io credo che sarebbe un segnale di responsabilità». Idea condivisa (allora) da un sacco di alleati. Da Pietro Folena («Il centrosinistra può benissimo andar avanti da solo») ai Verdi con Grazia Francescato («Possiamo benissimo andare avanti da soli») e Maurizio Pieroni («A malincuore, ma a questo punto dobbiamo andare avanti da soli») e altri ancora. Dice oggi la sinistra: ma noi ci siamo fermati! Dice la destra: vi abbiamo fermati noi! Certo è che non meno stupefacente è il voltafaccia nella Cdl. Esattamente il 4 ottobre 2000 (buon compleanno alla coerenza!) i quattro leader del Polo arrivarono a firmare addirittura un comunicato congiunto: «Non esistono più le condizioni tecniche e politiche che consentano di proseguire nel confronto. Sarebbe quindi inaccettabile se in questa situazione la sinistra pensasse di potersi fare da sola la sua legge elettorale». Il già citato Casini, leader di quell’Udc che chiede oggi di cambiare le regole del voto, ironizzava: «E’ comprensibile che Rutelli voglia vincere le elezioni e proponga di cambiare la legge ma nel mezzo della partita non si cambiano le regole». «Senza l’opposizione una nuova legge elettorale non si può fare», rincarava Fini. «Le regole della vita di un Paese non devono esser imposte dalla sopraffazione parlamentare», s’inveleniva Schifani. «Ci opponiamo a questo tentativo di golpe legalizzato! E’ l’ennesima dimostrazione dell’incapacità di Veltroni e soci di accettare le regole di un confronto democratico!», ruggiva Maroni. «Se l’Ulivo dovesse provarci la nostra opposizione sarebbe durissima, in Parlamento e nel Paese», avvertiva Pisanu. «Non si cambia la legge elettorale a colpi di maggioranza», ammoniva Tremonti. «Questo è un profondo segnale di degrado istituzionale», discettava Urso. «Non si azzardino a tentare di approvare da soli la legge elettorale. Mobiliteremo i gruppi parlamentari e gli faremo vedere i sorci verdi», azzannava Selva. «Per noi è assolutamente inaccettabile, si va allo scontro», strepitava La Loggia. Quanto a Berlusconi, quel tentativo della sinistra lo indignava. «E’ una legge per il suo bene e per il male del Paese!». «Siamo fuori tempo massimo e in campagna elettorale non si cambiano le regole!». Per non dire della reazione di Bossi, cui va riconosciuto d’essere oggi forse il più prudente tra i soci. Ringhiava allora: «Non si è mai visto che chi comanda possa cambiare la legge elettorale a campagna elettorale avviata. Rischia di spaccare in due il Paese». E cosa dimostrava, questa idea ulivista? Quello che lui diceva da sempre: «Hanno la mentalità nazista. Ora possono dimostrarlo. Vediamo se avranno il coraggio di approvarsi da soli la legge». Cinque anni dopo, in perfetta coerenza col capo, Roberto Calderoli sbraita: «Noi andiamo avanti!». Di più: il forzista Antonio Leone si spinge senza capogiri a dire addirittura che è l’opposizione «con un ostruzionismo cieco e la minaccia della piazza» a infliggere «un grave vulnus» alla democrazia. E mai nessuno che provi un brivido di imbarazzo. Gian Antonio Stella