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 2005  ottobre 05 Mercoledì calendario

MARRA

MARRA Giovanni Cinquefrondi (Reggio Calabria) 5 febbraio 1931. Ex arcivescovo di Messina (1997-2007) • «[...] Non è un polentone veneto o un boujanen piemontese incapace di capire le sfumature del Mezzogiorno. un uomo del Sud. Nato al di là dello Stretto a Oppido Mamertina, un paese dell’Aspromonte tristemente celebre per una faida sanguinosa che ha visto uccidere anche dei bambini. Quando parla di mafia sa di cosa parla. E il suo atto d’accusa è così duro da ricordare l’omelia del cardinale Salvatore Pappalardo ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa, quando disse, citando Sallustio, ”Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata!”. Siamo ancora inchiodati lì? ”No. Ci sono stati dei passi avanti. Processi importanti come quelli promossi da Giancarlo Caselli e Pietro Grasso, grandi appelli di uomini di cultura... Non siamo più all’anno zero. C’è più coscienza. Più preoccupazione. Più impegno. Sui passaggi di mano dei terreni che dovrebbero essere interessati dai lavori per il Ponte sono stati fatti ad esempio dei controlli capillari. Nella scuole si parla della mafia e c’è una maggiore sensibilità. Ma resta da fare ancora molto. Perché nella società resistono sacche di cultura mafiosa. Penso all’ammirazione verso il prepotente. Al giustificazionismo nei confronti di chi viola la legge...”. Un tempo si diceva che a Messina non c’era la mafia. ”No. La mafia c’è. forte e potente. C’è come c’è la ”ndrangheta. Che si sommano agli altri problemi. Il sottosviluppo. La disoccupazione. La piccola criminalità. Il clientelismo. [...] Questa è una città con tanta povertà e tanta disperazione. Ma anche con tante energie pulite. Tante persone positive. Tante risorse da cui potrebbe rinascere una città nuova. Il mare, il turismo, la pesca, l’artigianato, il ponte... [...] Il ponte può essere una grande risorsa. Portare lavoro per anni. Rimettere in movimento tutto. Spingere alla rinascita. Purché... [...] non sia un ponte nel deserto. Deciso e progettato e costruito come un corpo estraneo alla città. Senza risanare prima Mare Grosso, senza buttar giù le baracche, senza restituire una speranza a chi vive in condizioni penose. Allora potrebbe essere perfino un danno [...] Al di là dell’organizzazione vera e propria, vedo purtroppo una mentalità mafiosa. C’è sempre qualcosa di intimidatorio, nei rapporti. Perfino nell’ambito ecclesiastico. Se ti chiedono qualcosa è come se aggiungessero: guarda che se non ce la dai... [...] Una volta la gente di una parrocchia, che si era affezionata a un vice-parroco che avevo mandato lì provvisoriamente, fece una raccolta per tenersi quel prete. Millecinquecento firme. Un’iniziativa lodevole. Ma la accompagnarono con un avvertimento: ”Se non ce la dà vinta, le consigliamo di non farsi vedere...’. Convocai i primi firmatari, sventolai la petizione e dissi: ”Io questa la porto adesso alla Procura della Repubblica’. Mi chiesero scusa. Lasciammo perdere. In realtà la città è piena di persone perbene e di buona volontà. Piena [...] Un desiderio di legalità io lo vedo crescere. Solo che c’è ancora troppa ”attenzione’ a certi gruppi di potere che possono portare voti. C’è gente che viene da dominii antichi che continuano a funzionare basandosi sui vecchi sistemi. Il clientelismo, la raccomandazione... [...] Il clientelismo illude le persone. E riduce tutto a mercato. Non è accettabile che negli ospedali, per fare un esempio, il medico ”amico’ passi davanti al medico bravo. Non è accettabile che il raccomandato faccia eliminare il più capace. Certo che sono peccati [...] Qualche pezzo di Stato c’è. La polizia, i carabinieri, la finanza. In condizioni difficilissime, ma il loro dovere lo fanno. Il governo. Quello è mancato. Cittadino, regionale, statale”» (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 5/10/2005).