Panorama 22/09/2005, pag.128-134 Marco De Martino, 22 settembre 2005
Sean va alla guerra: contro George W. Bush. Panorama 22/09/2005. Dieci anni prima di finire in una barca a soccorrere la gente di New Orleans, Sean Penn ebbe un altro appuntamento con i dannati della città che non c è più
Sean va alla guerra: contro George W. Bush. Panorama 22/09/2005. Dieci anni prima di finire in una barca a soccorrere la gente di New Orleans, Sean Penn ebbe un altro appuntamento con i dannati della città che non c è più. Era per le 9 del mattino e ad aspettarlo c era Helen Prejean, la suora che ha scritto Dead man walking, storia degli ultimi giorni di vita del condannato a morte che avrebbe imposto Penn tra le leggende del cinema. Di appartenere a quel gruppo lui lo sapeva già: nato lo stesso giorno di Robert De Niro, era amico di Marlon Brando, che lo considerava il suo erede, e da anni studiava ogni piega della fronte aggrottata di Jimmy Dean. Come lui, ogni tanto esagerava: quella volta per esempio non riuscì neppure ad arrivare a New Orleans. Sulla strada si fermò a bere con Don Henley, il cantante degli Eagles, e prese sette pastiglie di lsd che lo misero fuori combattimento per 36 ore. Invece di andare a New Orleans tornò a casa in California. E all appuntamento con madre Helen arrivò sei giorni dopo. Non fu la solita sbornia, però, ma un punto di svolta. In ricordo di quell avventura Penn si fece tatuare sul braccio destro la scritta «Nola», che sta per New Orleans, Louisiana, e sotto «salvami». Quando è stato il suo turno di salvare New Orleans, i giornali lo hanno liquidato: la solita manovra pubblicitaria. Ma se avessero guardato il braccio, avrebbero capito che con Sean Penn le cose sono sempre più complicate, fino ad arrivare sotto la pelle, di quello che sembrano. Se avessero controllato chi c era in barca con lui, avrebbero notato Douglas Brinkley, storico di New Orleans, che insegna alla Tulane University. Se gli avessero chiesto della politica locale, lui avrebbe parlato a lungo di Huey Long, l ex governatore della Louisiana che Penn ha appena finito di interpretare in All the king s men, film che secondo i critici gli darà un altro Oscar. Invece i giornalisti gli hanno chiesto di George W. Bush. E lui ha risposto alla Sean Penn, nel modo più diretto: «Siamo stati in giro un giorno intero e abbiamo visto solo tre barche dell esercito. A salvare la gente c erano solo cittadini come noi». Quando guardano i suoi occhi azzurri, gli americani credono di vedere gli anni Ottanta: il riflesso del volto di Madonna, che è stata sua moglie, le scazzottate con i paparazzi. Ma più va avanti il tempo più è chiaro che Penn, 44 anni, è uomo simbolo degli anni Settanta, educato nel guado scavato tra l impegno e il riflusso, in un era che assomiglia sempre di più al presente americano. «Nessuno è più trasversale di Sean» dice l amico produttore John Sykes. «Alle 5 è seduto con Steven Spielberg e Dustin Hoffman a discutere di un film. Alle 2 del mattino sta parlando con due sbirri di Los Angeles». La sua biografia politica forse si chiuderà con una campagna da candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Ma il racconto non può che iniziare da Leo Penn, suo padre, un attore ebreo che lasciò Hollywood per volare con i bombardieri americani sopra la Germania e che quando tornò a casa si trovò senza lavoro. L allora collega Ronald Reagan lo aveva inserito nelle liste nere del maccartismo, o almeno così hanno sempre ritenuto a casa Penn. I suoi genitori si battevano contro la guerra del Vietnam, il suo maestro teneva lezioni sul Watergate e il vicino di casa Martin Sheen a un certo punto lasciò la spiaggia dove faceva jogging per andare nelle Filippine a girare Apocalypse now. A guardar bene si scopre che persino le scazzottate sono d autore: a insegnargli a tirare di boxe fu Sugar Ray Leonard, il campione mondiale dei welter, che girava per casa quando lui era piccolo. Ma i suoi amici raccontano che usava le maniere forti solo per difendere i più deboli: fra i suoi miti c è il presidente Thomas Jefferson. Anche quand era sposato con Madonna spesso la lasciava per andare a bere con Charles Bukowski, scrittore maledetto che lo chiamava figlio e che lui chiamava papà. «Bukowski non era irriverente: non aveva riverenza» racconta Penn. «Era noi dopo una notte di sesso e alcol. Era noi prima della doccia, sul cesso, malati, stanchi, con il cuore a pezzi, quando andiamo a lavorare». Sul lavoro Penn si rifiuta di rispondere a chi lo chiama col suo nome. Appena ventenne sul set di Fuori di testa voleva essere chiamato Jeff Spicoli, come il surfer cannaiolo che interpretava. E poi Matthew Poncelet, il condannato a morte di Dead man walking; Jimmy Markum, il padre che vede la figlia accoltellata a morte in Mystic River; Samuel J. Bicke, lo squilibrato che cercò di dirottare un aereo sulla Casa Bianca in Ho ammazzato Richard Nixon... Tutti i personaggi dell incubo americano si sono ritrovati in Penn, come si conviene a un attore che ha frequentato l Actors studio con Michelle Pfeiffer e Jeff Goldblum. Ma quando si trasforma in attivista, come gli succede sempre più spesso, si registra negli alberghi ogni volta con lo stesso pseudonimo: Upton Sinclair. Come il grande scrittore socialista che prima di candidarsi due volte a governatore della California divenne noto raccontando agli americani che nelle loro salsicce «finivano le dita e gli occhi degli operai». S è presentato come Sinclair anche all hotel Lelah di Teheran, dov è andato lo scorso giugno per seguire le elezioni iraniane. Ha incontrato il candidato presidenziale Akbar Hashemi Rafsanjani e intervistato molti dissidenti. L accordo con il San Francisco Chronicle, che ha pubblicato i suoi cinque reportage, prevedeva che lasciasse la politica fuori dagli articoli. Così è stato: «Questa è una cultura innamorata del cinema. Di Brad Pitt, di Angelina Jolie» ha scritto. «E’ una potenza nucleare, dove le lobby della destra religiosa cancellano il confine tra chiesa e stato. Ma è anche un paese di gente buona e ospitale. Dove le donne si laureano sempre più numerose e sempre più ottengono posti nel governo. Suona familiare. Ma aspetta. Le donne. Guarda le donne. Non tutto va bene. Penso alle donne. Questo è l Iran». Nell unica biografia di Penn pubblicata Susan Sarandon racconta che l interesse dell attore per la politica si è rafforzato con la nascita di sua figlia Dylan Frances (in onore di Bob Dylan) e di suo figlio Hopper Jack (un tributo agli amici e modelli Dennis Hopper e Jack Nicholson). «Come padre di due figli le cui vite saranno influenzate dalle scelte di oggi, non ho altra opzione se non credere che lei possa passare alla storia come un grande presidente» scrisse Penn in una lettera aperta in cui chiedeva a Bush di non scendere in guerra contro l Iraq. «Ancora una volta la scongiuro di aiutare a salvare l America prima che la sua divenga un eredità di vergogna e di orrore». Più tardi, Penn avrebbe visitato due volte Baghdad, prima e dopo l inizio della guerra. In entrambe le occasioni fu come vedere all opera l anti Michael Moore: quanto il documentarista distorce i fatti a fini ideologici, tanto l attore li rispetta. Prima della guerra disse: «Ci sono solo due posti per Saddam Hussein, uno è il manicomio, l altro la macelleria. Detto questo, non mi sembra che intervenire sia la scelta giusta: il costo della guerra sarà di 200 miliardi. Chi pagherà? Tu e io. E quale sarà il costo dopo?». Domande legittime, precise quanto la descrizione dei guerriglieri antiamericani che Penn fece nel dicembre 2003, dopo la sua seconda visita irachena: «I guerriglieri sono gente leale a Saddam, élite sunnita che ha perso il potere, vittime dei raid americani in cerca di vendetta, feddayn, cellule terroriste importate dall estero e molti ex soldati». Tutto vero,eppure anche allora Penn venne criticato. Alle accuse, lui risponde sempre così: «A differenza di Jane Fonda, io non prevedo di chiedere scusa per le mie azioni, neppure in un futuro remoto. E se credono che bastino i loro attacchi a farmi recedere, non hanno ancora capito con chi hanno a che fare». Marco De Martino