La Repubblica 30/09/2005, pag.17 Massimo Livi Bacci, 30 settembre 2005
Ma piccoli e medi centri hanno ancora un futuro. La Repubblica 30/09/2005. La popolazione urbana del mondo è sul punto di superare quella rurale: è una notizia che ha valore simbolico, più che statistico
Ma piccoli e medi centri hanno ancora un futuro. La Repubblica 30/09/2005. La popolazione urbana del mondo è sul punto di superare quella rurale: è una notizia che ha valore simbolico, più che statistico. Ogni paese ha, infatti, una propria definizione di ciò che è urbano o non urbano; alcuni utilizzano la dimensione numerica dei centri abitati o delle unità amministrative, altri un mix di parametri economici e sociali, altri ancora criteri di natura prevalentemente geografica e funzionale. Ciò che è urbano per un paese può non esserlo per un altro, e la somma dei risultati non fa un totale affidabile. Da qui le riserve sul valore statistico della notizia. Ma il valore simbolico di questa è invece grandissimo perché nel mondo oramai prevalgono modi di vivere, consumare, comunicare e muoversi propri della civiltà urbana. oramai finita l´identità tra luogo della vita familiare, il luogo della produzione e il luogo del consumo, propria della civiltà agricola. Nella civiltà urbana si può vivere, lavorare e consumare in luoghi diversi sospinti da una incessante mobilità. Per grande parte della storia, il mondo è stato rurale ed agricolo. Nelle zone più sviluppate d´Europa - l´Italia e le Fiandre - la fiorente civiltà urbana del XVI secolo non comprendeva più di un sesto o un quinto della popolazione nel resto dell´Europa la civiltà urbana aveva peso numerico molto più scarso. Altrove, lo splendore di alcune grandi città si spegneva rapidamente nelle predominanti popolazioni rurali. Ma oggi, anche i paesi più arretrati hanno una trama di città grandi, medie e piccole che svuotano gradualmente la società rurale. Il fenomeno più interessante emerso negli ultimi due decenni è tuttavia il rallentamento della crescita delle grandi megalopoli plurimilionarie del mondo povero che si erano formate con rapidità impressionante tra gli anni ’50 e gli ani ’80. In quel periodo, la loro crescita era determinata sia dal forte eccesso delle nascite sulle morti, sia dagli elevati flussi migratori dalle campagne. Negli ultimi decenni, però, il superamento delle nascite sui morti è andato ovunque riducendosi per il diffondersi del controllo delle nascite, e l´affermarsi di livelli di riproduttività moderati spesso inferiori a due figli per donna. Ma anche l´immigrazione dalle zone rurali si è attenuata e l´attrazione delle opportunità (vere o presunte) offerte dal vivere urbano si è fatto più debole. Ciò è dovuto al crescente costo del vivere nelle megalopoli i cui problemi di gestione dell´ambiente, del traffico, dei servizi pubblici, della criminalità tendono a moltiplicarsi all´aumentare della popolazione. come se si fosse raggiunta la saturazione dello spazio e della trama sociale delle grandi metropoli. Non sorprende, pertanto, che siano le componenti minori del tessuto urbano - le città di media e di piccole dimensione - a mantenere un vigoroso sviluppo. Se è urbana la metà del mondo, sarebbe un errore definire rurale o agricola l´altra metà. L´incidenza della popolazione che vive di agricoltura è oramai molto bassa ovunque quasi sempre inferiore al 25 per cento; il suo contributo al Pil ancora più piccolo. La sopravvivenza della popolazione sparsa, insediata in case isolate o in piccolissimi agglomerati, è resa precaria dalla mancanza di servizi e dall´erodersi della redditività delle attività economiche praticate. La maglia del vivere urbano sembra oramai destinata ad estendersi sempre di più. A meno che, vien da pensare, la rivoluzione tecnologica non finisca per rendere obsoleto strumento di lavoro e di relazione sociale la prossimità abitativa e residenziale, che dall´epoca del neolitico è stata condizione e molla dello sviluppo. Massimo Livi Bacci