La Stampa 27/09/2005, Marzio Barbagli,, 27 settembre 2005
Omosessuali l’eros e l’identità. La Stampa 27/09/2005. Per almeno venti anni, in tutti i paesi occidentali, le organizzazioni dei gay e delle lesbiche hanno sostenuto che il 10 per cento della popolazione è costituita da omosessuali
Omosessuali l’eros e l’identità. La Stampa 27/09/2005. Per almeno venti anni, in tutti i paesi occidentali, le organizzazioni dei gay e delle lesbiche hanno sostenuto che il 10 per cento della popolazione è costituita da omosessuali. Ripetuto migliaia di volte non solo dai militanti e dalla stampa di queste organizzazioni, ma anche dai giornali e dalla reti televisive di ogni orientamento politico, questo 10 per cento è diventato un numero magico, indiscusso e indiscutibile, e ha certamente svolto un ruolo importante nella definizione della questione omosessuale. Ha aiutato tutti coloro che, a quindici o a venti anni, si innamorano di una persona dello stesso sesso a sentirsi meno strani, meno anormali, meno soli, anche quando vivono in un piccolo centro del Texas, della Baviera o della Sicilia. Ha permesso alle organizzazioni gay e lesbiche di presentarsi come rappresentanti degli interessi e delle domande di milioni di persone. Ha convinto un po’ tutti - anche i più ostili - che a queste domande non è più possibile rispondere né con divieti e sanzioni penali (come si è fatto per secoli) né con l’indifferenza, alzando le spalle, facendo finta che gay e lesbiche non esistano o siano un piccolo e irrilevante gruppo. Questo magico 10 per cento non è un’invenzione propagandistica delle organizzazioni dei gay e delle lesbiche, ma viene dalle pionieristiche indagini di Alfred Kinsey. Per la verità, già Magnus Hirschfeld (egli stesso omosessuale), all’inizio del Novecento, aveva condotto ricerche serie e rigorose sugli omosessuali di Berlino. Ma è al biologo e zoologo Alfred Kinsey che si deve quello che per molti decenni è rimasto il più ampio e importante studio del comportamento sessuale della popolazione americana, condotto intervistando 12 mila persone appartenenti a tutti gli strati sociali e i cui risultati furono pubblicati in due volumi: il primo, nel 1948, sugli uomini, il secondo, del 1953, sulle donne. appunto nelle ultime pagine del primo che si trova una affermazione dalla quale certamente deriva il numero magico: «il 10 per cento degli uomini, fra i 16 e i 55 anni, sono più o meno esclusivamente omosessuali per almeno tre anni della loro vita». Ma chi ha letto questo libro sa che, poche righe dopo, si trova un’altra proposizione: «il 4 per cento degli uomini bianchi sono esclusivamente omosessuali per tutta la vita»; e che, nella pagina precedente, ve ne è ancora un’altra: «il 37 per cento della popolazione maschile ha avuto almeno un’esperienza omosessuale, raggiungendo l’orgasmo». Queste affermazioni non sono fra loro in contrasto. Tutte insieme indicano un fatto che è stato confermato più volte dalle ricerche condotte in seguito: che nel Novecento, negli Stati Uniti e negli altri paesi occidentali, un uomo può avere un rapporto omoerotico una sola volta durante tutta la vita oppure consecutivamente per un certo periodo di tempo (ad esempio, tre anni) oppure ancora per tutta la sua esistenza. Perché allora, fra i tre numeri che Kinsey indicava (4%, 10%, 37%), le organizzazioni gay e lesbiche hanno scelto il secondo? Probabilmente per comodità, per motivi di efficacia comunicativa e argomentativa, perché era più semplice e presentabile, perché non era troppo alto o troppo basso. Molti studiosi hanno rimesso in discussione il valore del mitico 10 per cento, pur cercando di non entrare in polemica con le organizzazioni di gay e lesbiche. Essi hanno sostenuto che questo valore sopravvaluta le dimensioni della popolazione omosessuale (anche di quella che lo è stata solo per tre anni), per almeno due motivi. In primo luogo, perché esso riguarda non tutta la popolazione, ma solo quella maschile, mentre le stesse ricerche di Kinsey (come tutte quelle realizzate dopo) hanno mostrato che i rapporti omoerotici sono meno frequenti in quella femminile. In secondo luogo, perché il campione studiato da Kinsey non era in alcun modo rappresentativo dell’universo della popolazione. Probabilmente è anche per questo che, da alcuni anni, le organizzazioni gay e lesbiche sono diventate più caute e hanno a poco a poco sostituito il magico 10 per cento con un più contenuto 5 per cento. Per fortuna, negli ultimi quindici anni, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia e in qualche altro paese europeo (ma non ancora in Italia), sono state condotte ricerche serie e rigorose sulla sessualità di campioni rappresentativi della popolazione e oggi abbiamo più informazioni e più dati, ma soprattutto siamo in grado di partire da definizioni e da interrogativi più sensati di un tempo. Kinsey, come molti studiosi dopo di lui, quando cercavano di misurare le dimensioni della popolazione omosessuale, si riferivano solo ai comportamenti. Per lui, omosessuale era chi faceva l’amore con una persona dello stesso sesso e raggiungeva l’orgasmo con rapporti orali, anali o con la masturbazione. Il fatto che un uomo si sentisse solo attratto sessualmente da un altro uomo o che una donna si innamorasse di un’altra donna e desiderasse solo starle vicino, guardarla negli occhi, accarezzarle i capelli, bisbigliarle parole dolci, era per lui irrilevante. Oggi noi sappiamo invece che, per capire l’esperienza sessuale, dobbiamo tenere distinte almeno tre delle sue molteplici dimensioni. La prima è costituita dai sentimenti, che a loro volta comprendono sia i desideri sia gli affetti: sia l’attrazione che si prova nei riguardi di una persona, la voglia di avere rapporti sessuali con questa, sia l’amore che si sente nei suoi confronti. La seconda è data dai comportamenti, dall’attività erotica, ed era l’unica che Kinsey considerava rilevante. La terza dimensione è costituita dall’identità, dall’insieme dei significati che una persona attribuisce a ciò che sente e che fa, da come si definisce dal punto di vista dell’orientamento sessuale. Questi significati sono cambiati enormemente nel corso del tempo e variano ancora molto nello spazio, nel senso che ancora oggi gli uomini che vivono a Milano, a Palermo, a Mosca o a Città del Messico interpretano in modo radicalmente diverso i rapporti sessuali che hanno con un altro uomo. Ma nei paesi occidentali, negli ultimi decenni, l’identità è stata espressa sempre più frequentemente con espressioni come «sono eterosessuale», «sono gay», «sono lesbica». Le ricerche degli ultimi anni hanno messo bene in luce che fra queste dimensioni non vi è una piena corrispondenza, che il desiderio, l’amore, il comportamento sessuale e l’identità non sempre coincidono. Si può essere attratti da una persona dello stesso sesso, avere rapporti sessuali con questa e allo stesso tempo definirsi eterosessuali. Prendiamo, ad esempio, i risultati dell’indagine condotta sulla popolazione americana dal Department of Sociology dell’Università di Chicago (unanimemente considerata come la più importante degli ultimi quindici anni). Riguardo all’identità, vediamo che si dichiara omosessuale l’1,4 per cento della popolazione femminile e il 2,8 per cento di quella maschile (ma il 9 per cento di quella che vive nelle grandi città). Per i comportamenti, ha avuto rapporti sessuali con una persona dello stesso sesso nel corso della propria vita il 4,1 per cento delle donne e 4,9 per cento degli uomini. Se poi passiamo ai sentimenti, la quota di chi ha provato attrazione erotica per una persona dello stesso sesso sale al 7,5 per cento per le prime e al 7,7 per i secondi. dunque evidente che il numero di omosessuali esistente in un paese varia considerevolmente a seconda degli aspetti della sessualità che prendiamo in considerazione. Ma i risultati delle ricerche dell’ultimo quindicennio fanno anche pensare che se molti di coloro che, in qualche momento della loro vita, si innamorano di una persona dello stesso sesso non arrivano mai a considerarsi omosessuali è principalmente a causa dei freni e dei controlli sociali che impediscono loro di compiere questo percorso. prevedibile che, man mano che questi freni e controlli si indeboliranno, anche la distanza fra le dimensioni dell’esperienza sessuale si ridurrà. Marzio Barbagli