varie, 3 ottobre 2005
ROMANOFF
ROMANOFF Nicola Antibes (Francia) 13 settembre 1922. «[...] capo della casa imperiale [...] Cittadino italiano, sposato con Sveva della Gherardesca, suo padre era primo cugino di Umberto II e sua nonna, Militza di Montenegro, era sorella della regina Elena. Vive come uno degli ultimi Gattopardi, fra Rougemont e Roma [...] ”Mio padre lasciò la Russia con la corazzata Marlborough, mia madre con la torpediniera Speedy. Non si conoscevamo. Raggiunsero l’Inghilterra e in un secondo tempo la Svezia”. [...] arrivò in Italia [...] ”Nell’ottobre del ’34, avevo dodici anni, fino al maggio del ’35. Il comandante Surdi doveva prepararmi per entrare all’Accademia Navale. Ci sono tornato dal giugno del ’36 al maggio del ’46. Volevo iscrivermi alla facoltà di Ingegneria ma era obbligatorio iscriversi anche al Guf. Mi rifiutai, non solo per ragioni politiche, ma per testardaggine: non ero italiano e non volevo appartenere a un’organizzazione di partito”. Non era la prima volta che si mostrava testardo. ”Dopo l’occupazione della Jugoslavia il governo di Roma voleva restaurare la monarchi in Montenegro; quando si arrivò a me dissi di no. Non mi sentivo montenegrino ed ero di sentimenti antitedeschi. Inoltre, accettando il trono mi prenotavo per l’impiccagione su uno dei lampioni di Cettigne non appena gli italiani avessero lasciato il Montenegro. [...] Eravamo a Villa Savoia. Un paio di giorni prima dell’8 settembre, si sentì un violento bombardamento. Il re chiese a me e ad altri giovani, tra cui mio fratello Dimitri, di andare a vedere da che parte arrivasse. Mi arrampicai sui rami di un albero e mi parve che il fumo denso provenisse dai Colli Albani. ’Frascati!’, commentò il Re, con soddisfazione. Solo più tardi capii che là c’era il commando del maresciallo Kesserling. [...] Vidi partire il Re e la Regina. Sentii il Re dire a mia nonna di non preoccuparsi, perché sarebbero tornati presto. Vivemmo i mesi dell’occupazione tedesca a un passo dalla fame. Mi ricordo la razione di pane, 115 grammi al giorno. Ma prima occorreva strizzare la pagnottina per farne uscire l’acqua. Amici con case in campagna ogni tanto ci offrivano un cartoccio di castagne, un cavolo o mezzo fiaschetto d’olio. Scoprimmo che la barbabietola da zucchero non era commestibile, né cruda, né cotta”. [...] dopo la liberazione di Roma [...] ”Lavorai in un organismo alleato di propaganda dal nome significativo: Pwb, ’Psychological Warfare Branch’. Nel maggio 1946 lasciai con tutta la famiglia l’Italia per l’Egitto [...]”» (Salvatore Maria Fares, ”Sette” n. 41/2002).