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 2005  ottobre 03 Lunedì calendario

Fischer Antonio

• Murilo Brusque (Brasile) 16 giugno 1979. Ciclista • «Velocista, dicono; finisseur, azzardano; fondista, annunciano. Sarà: ma questo Antonio Murilo Fischer è un corridore vero. Piccolo, compatto, esplosivo, determinatissimo. Se non avesse scelto le due ruote a trazione umana, con quella faccia lì avrebbe potuto fare l’attore nei film western, più bandito che sceriffo. E ha gambe alla dinamite. [...] è brasiliano di Santa Catarina però metà tedesco (versante paterno) e metà italiano (versante materno), e quando è stato il momento giusto ha fatto due conti (lui li sa fare esattamente: non a caso ha il diploma in contabilità) e ha capito che, per fare il corridore, doveva venire in Italia. A Treviso, perdipiù, una delle capitali del ciclismo. Due anni da professionista, un’altra stagione sotto contratto con Vincenzo Santoni alla Naturino-Sapore di Mare, e un sogno che si chiama Roubaix. [...]» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 3/10/2005). «’So che cosa avrà pensato la gente: che la prima vittoria era un errore di stampa, la seconda un errore e basta, la terza un caso, la quarta una coincidenza, la quinta un colpo di fortuna. Però alla sesta vittoria ho cominciato a essere un vero corridore. E alla settima, spero, un corridore vero”. Che non è la stessa cosa. Murilo di nome, Antonio di secondo nome, Fischer di cognome. Professione: corridore vero [...] Come tutti i brasiliani, ha poco sangue brasiliano: lui metà tedesco (papà Egidio, lontane origini teutoniche, dirigente di un’azienda metallurgica) e metà italiano (mamma Maria Goretti, casalinga: Maria Goretti è un doppio nome, come Maria Cristinao Maria Elena). nato nel sud del Brasile (a Brusque, nella regione di Santa Caterina), e fra i suoi primi ricordi c’è ”la casa, un marciapiede intorno alla casa, e un triciclo. Pedalavo e pedalavo, giravo e giravo, le curve le facevo in derapata, tanto che, dai e dai, la superficie si è consumata”. Fischer è uno di quei fortunati che, la prima cosa che hanno sognato da piccoli, è riuscito a trasformarla in passione e mestiere, cioè vita. A scuola nuoto, atletica, basket, pallavolo, ”ma non era quello che cercavo”. Poi la bici. ”Era quello che cercavo. Ho una foto di me piccolo: biciclettina, tutina, e le cinque dita esibite all’obiettivo. Era il giorno del mio compleanno: cinque anni”. Poi, invece di inseguire un pallone, ”inseguivo i miei cugini, tutti più grandi di me, su una pista da cross». Mountain bike. «Che non è solo ciclismo, ma natura, avventura, divertimento”. La prima mountain bike arriva proprio dai cugini, e Murilo ci fa due o tre corse. il 1995. La seconda bici arriva dal papà. ”Approfittiamo di una fiera a San Paolo, mi porta in un negozio, mi dice ’scegli’, e io scelgo la bici più bella e costosa. Torno a casa e, da quel momento in poi, le ultime corse della stagione le vinco tutte io. Compreso il campionato regionale juniores”. il 1996. Per farla breve, in 10 anni Fischer conoscerà pista e strada, Olimpiadi di Sydney e Atene, squadre dilettantistiche brasiliane e italiane, il mondo del professionismo. Se dovesse salvare tre momenti, ”il primo è la Popolarissima, la corsa più sentita del Trevigiano, vinta nel 2003. Il secondo è la Parigi-Roubaix del 2004, una gara a eliminazione fisica, dove non c’è un solo istante in cui non devi menare, arrivi al velodromo felice come se avessi vinto, e alla fine non chiedi altro che una doccia calda per sentirti ancora intero. Il terzo è il Mondiale di Madrid: i complimenti di Ballerini avevano il valore di una laurea ad honorem”. Ma Fischer, che secondo la moglie Marcia è ”umile e allegro, ma anche testardo e - per tutto quello che non riguarda la bici - disordinato”, non si accontenta perché, se no, non gode: ”Il quinto posto a Madrid non conta niente”. Non ci sono i Ronaldo e i Ronaldinho nella sua vita, ”semmai c’era Ayrton Senna”. Di Bartali e Coppi qualcosa sa, ”ma so di più di ’Nane’ Pinarello, della sua maglia nera conquistata al Giro, primo a cominciare dal basso, però poi primo nella vita di tutti i giorni”. ”Correrebbe gratis - sospira Marcia - se non ci fossero affitti e bollette da pagare alla fine del mese”. Fischer entusiasma per gli sprint (’Sono gli ultimi 200 metri, ma a volte cominciano 10 km prima, quando studi le facce degli avversari”), ma si entusiasma per le fughe (’Sono quelle che danno vita e anima alla corsa”), non si abbatte per gli incidenti (’Ormai è questione di alzare il braccio, fermarsi e ripartire”), teme le cotte (’[...] al Giro di Svizzera 2004, per la fame, in salita, non arrivavo più”). Semmai rimpiange un po’ i tempi da dilettante: ”Ci riempivano di ceste, dentro c’era di tutto, dalla pasta alla marmellata. Al Giro del Medio Polesine mi hanno regalato un prosciutto: l’ho avvolto prima nella stagnola e poi in un giornale, ficcato nella valigia e portato a mio padre, in Brasile. Perfetto”. [...]» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 11/10/2005).